«Dopo averli assemblati tutti si è giunti alla conclusione che si trattava di frammenti dello stesso rotolo». Ilan Yavelberg, portavoce dell’Università di Haifa, ha spiegato in questi termini all’Agenzia France Presse l’esito di un recente studio su oltre 60 minuscoli segmenti di pergamena (in alcuni casi più piccoli di un centimetro quadrato) già scoperti da tempo a Qumran (in Cisgiordania). Fino ad oggi i piccoli reperti non erano stati collegati tra loro, semplicemente perché un ricercatore nel passato aveva postulato che provenissero da pergamene diverse. Ma dopo oltre un anno di indagini ed esami minuziosi, Eshbal Ratson e Jonathan Ben-Dov – membri del dipartimento di Studi biblici dell’Università di Haifa – hanno scoperto che tutti questi frammenti erano correlati, ha spiegato il portavoce dell’ateneo, e che potevano essere riuniti formando ipso facto un solo ed unico rotolo.
Parliamo di uno degli ultimi due rotoli ritrovati nelle grotte di Qumran ancora non letti e con iscrizioni in ebraico fin qui non interpretate. «Pochissime pergamene tra quelle già decifrate riportano scritte in questo linguaggio criptato», ha detto al quotidiano israeliano Haaretz Eshal Ratson. C’è da notare, in proposito, che in gran parte dei manoscritti del Mar Morto sono già stati restaurati e pubblicati.
I due universitari hanno potuto decifrare il codice del rotolo grazie alle annotazioni e ai commenti apportati a margine da uno scriba che correggeva le omissioni dell’autore originario. «L’aspetto positivo di queste glosse è che mi hanno fornito gli indizi utili per la comprensione del puzzle; mi hanno mostrato come assemblare i frammenti di pergamena», ha dichiarato Eshbal Ratson al quotidiano israeliano.
I documenti più antichi risalgono al III secolo a.C. mentre il più recente è stato redatto nel 70 d.C., l’anno della distruzione del secondo Tempio giudaico ad opera delle legioni romane. Molti specialisti ritengono che i rotoli del Mar Morto siano stati scritti dagli esseni, un movimento di asceti ebrei rifugiatisi nel deserto di Giuda, presso le grotte di Qumran che sovrastano la sponda occidentale del Mar Morto, con l’ambizione di ritornare a un giudaismo più autentico.
A riprova dell’identità singolare di questo gruppo di eremiti, il rotolo restaurato contiene riferimenti al calendario di 364 giorni (praticamente modellato sul calendario solare), già conosciuto dai ricercatori per essere stato utilizzato dagli esseni, in opposizione al calendario lunisolare seguito nella pratica religiosa ebraica dell’epoca, così come oggi.
Di fatto, spiega l’università della città nord-israeliana, la pergamena con il calendario presenta «una particolarità importante». «Il calendario adottato ancor oggi dal giudaismo richiede un gran numero di decisioni umane. Occorre qualcuno che osservi le stelle e la luna e riferisca le proprie osservazioni, poi ci vuole qualcun altro abilitato a decidere sull’inizio del nuovo mese e sugli anni bisestili». Al contrario, i ricercatori hanno descritto il calendario di 364 giorni come «perfetto». «Dal momento che questo numero è divisibile per 4 e per 7, le ricorrenze speciali (ovvero festive – ndr) cadono sempre nello stesso giorno. Il che evita di dover decider, per esempio, cosa fare quando un’occasione particolare ricorre in giorno di Shabbat, come avviene spesso con il calendario lunisolare. Il calendario di Qumran è immutabile e sembra aver incarnato le credenze dei membri di questa comunità riguardo alla perfezione e alla santità». Per dirla in breve, ogni festa ha una data fissa e nessuna cade di Shabbat.
Il rotolo rivela anche, per la prima volta, il nome che gli esseni diedero ai giorni di passaggio tra le quattro stagioni. Il calendario aggiunge una giornata speciale per ogni momento di transizione. È il termine tekufah che in ebraico moderno significa «periodo». Un vocabolo che sarà utilizzato nella letteratura rabbinica ulteriore e che si può ritrovare su alcuni mosaici d’epoca talmudica (II-V secolo d.C.).
Inoltre, si legge nel comunicato dell’università di Haifa, il rotolo descrive due occasioni speciali (non menzionate nella Bibbia), che ci sono già note dal Rotolo del Tempio di Qumran: la festa del vino nuovo e quella dell’olio nuovo. Queste festività – ormai sparite – erano un’estensione della festa di Shavuot che celebra il grano nuovo. «Secondo questo calendario, la festa del grano nuovo cade 50 giorni dopo il primo Shabbat successivo alla Pasqua; la festa del vino nuovo ricorre 50 giorni più tardi, e dopo altri 50 giorni si celebra le feste dell’Olio nuovo», spiegano i ricercatori.
Il rotolo menziona anche un certo numero di parole ed espressioni che appariranno più tardi nella Mishnà, la compilazione scritta di leggi orali ebraiche, risalente al II secolo d.C. e considerata come la prima opera di letteratura rabbinica. «Ciò mostra una volta di più che molte delle questioni discusse dagli scribi molti secoli più tardi avevano origini anteriori che risalenti al periodi del secondo Tempio», concludono i ricercatori.
Queste recenti conclusioni fanno parte di uno studio finanziato dalla National Science Foundation (Isf) e poi pubblicato nell’ultimo numero del Journal of Biblical Literature (vol. 136, n. 4 – Winter 2017 – pp. 905-936).
Secondo il comunicato dell’Università di Haifa, i due ricercatori Eshbal Ratson e Jonathan Ben-Dov sono al lavoro per decifrare il secondo manoscritto ancora non letto. È l’ultima parte di una delle più importanti scoperte archeologiche di tutti i tempi, fatta casualmente da alcuni beduini tra il 1947 e il 1956 nelle grotte naturali che punteggiano le falesie sul Mar Morto. Una dodicesima grotta – in gran parte saccheggiata – è stata scoperta nel 2017. Una squadra di archeologi americani (della Liberty University di Lynchburg, in Virginia) dovrebbe pubblicare prossimamente i risultati delle sue ricerche avviate nella grotta nel dicembre scorso.
I 900 manoscritti del Mar Morto comprendono testi di ispirazione religiosa in ebraico, aramaico e greco, oltre alla versione più antica che si conosca dell’Antico Testamento. Si possono classificare quei testi in tre categorie: i libri biblici, che riproducono brani dell’Antico Testamento; gli apocrifi, redatti sul modello dei libri biblici, ma esclusi dalle versioni canoniche; infine le pseudoepigrafi, insieme di stesti che relazionano su avvenimenti, pratiche religiose o concetti sin qui ignorati.