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Si prega per l’unità nella culla del cristianesimo

Beatrice Guarrera
19 gennaio 2018
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Si prega per l’unità nella culla del cristianesimo
Un momento della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani a Gerusalemme nel gennaio 2017. (foto Nadim Asfour/Cts)

Dal 20 al 28 gennaio torna anche a Gerusalemme, nel luogo in cui tutto ebbe inizio, l'appuntamento con la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani.


Come in molte altre parti del mondo, a gennaio la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani prende corpo anche a Gerusalemme, nel luogo più significativo per il cristianesimo, dove tutto ebbe inizio.

Le date di svolgimento della settimana in Terra Santa sono però tipiche, data la specificità dei luoghi della nascita di Gesù, in cui ogni Chiesa celebra il proprio Natale. La Chiesa armena ha celebrato il Natale il 19 gennaio ed è per questo motivo che la prima data utile per iniziare la settimana nella Citta Santa è il giorno 20 (e la conclusione è il 28 gennaio).

La “madre” di tutte le Chiese vedrà pregare donne e uomini di diverse confessioni che si muoveranno sulle stesse strade percorse da Gesù e dai suoi discepoli. Proprio nei posti da dove, prima di tutte le divisioni, i primi cristiani partirono per l’evangelizzazione del mondo, si sperimenta di nuovo la comunione.

L’idea di riunire esponenti delle differenti Chiese per pregare per l’unità, è solo una delle iniziative ecumeniche che si svolgono a Gerusalemme. È, comunque, molto partecipata da fedeli locali e pellegrini e ha il privilegio di poter essere celebrata in alcuni dei Luoghi Santi. Inizia, infatti, il 20 gennaio con la preghiera della compieta officiata dei greco-ortodossi al Calvario e prevede poi un ricco calendario. Il 21 gennaio si celebra nella cattedrale anglicana di San Giorgio, il 22 in quella armena di San Giacomo, il 23 nella chiesa luterana del Redentore, mentre il 24 è la volta della con-cattedrale del patriarcato latino di Gerusalemme. Il giorno seguente ci si sposta direttamente al Cenacolo sul Monte Sion, per poi passare, il 26, alla chiesa siriaco-ortodossa di San Marco e il 27 a quella etiope a Gerusalemme est. La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si chiude il 28 gennaio nella chiesa melchita dell’Annunciazione.

In occasione di questo evento all’Istituto ecumenico Tantur, il 14 gennaio si è anche svolta una conferenza sul tema dell’ecumenismo, affidata, in veste di esperto, a padre Frans Bouwen. Nella Città Santa questo argomento è comunque all’ordine del giorno, dato che le tredici confessioni e comunità cristiane presenti sul territorio, frequentano gli stessi luoghi e pregano negli stessi santuari. Provare a convivere in pace e dialogare è questione di vita quotidiana, soprattutto per i molteplici religiosi che abitano la Terra Santa.

«L’unità tra le Chiese dà fortezza e la preghiera ci insegna ad obbedire di più al Signore che ci ha detto di diventare una sola cosa». Ad affermarlo è il vescovo siro-ortodosso di Gerusalemme e Giordania Mor Severios Malke Mourad. La presenza siriaco-ortodossa è antica, ma ad oggi a Gerusalemme conta circa cinquemila fedeli e cinque sacerdoti in servizio. Il vescovo siriaco crede molto nell’ecumenismo: «Le Chiese possono fare molte cose insieme: pregare, celebrare messe, portare a ogni evento la presenza dei propri vescovi. In secondo luogo possono anche condurre avanti progetti insieme, destinati a tutti, in campo economico e sociale (chiese, ospedali, scuole). Si può studiare la Bibbia insieme, si può condividere la propria spiritualità». L’appuntamento previsto nella loro chiesa di San Marco sarà una preghiera aperta a tutti con letture dal vecchio e nuovo testamento.

«Tutti i pastori luterani ed evangelici, circa 20-25 persone tra uomini e donne, saranno presenti alla preghiera nella nostra chiesa il 23 gennaio – spiega il nuovo vescovo luterano Ibrahim Azar –. Ci sarà un servizio in chiesa come sempre, ma senza la santa comunione, e un sermone in inglese». Azar celebrerà la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani per la prima volta da vescovo, ma sono trent’anni che vi partecipa, in quanto pastore della chiesa Luterana del Redentore in città vecchia. «È un’opportunità per le diverse Chiese che si riuniscono, per vedere che siamo uno in Cristo – afferma -. Lo Spirito Santo ci unisce, lo sentiamo chiaramente». Dopo ogni momento di preghiera, ogni giorno è previsto un momento conviviale con un piccolo rinfresco. «Molti cristiani che vivono a Gerusalemme partecipano alla settimana, ma vorrei vedere ancora più cristiani locali – commenta Azar -. Mi sento più responsabile per la gente ora che sono vescovo, specialmente dopo la mia recente consacrazione, alla quale hanno partecipato molti capi delle altre Chiese». Il vescovo spiega quanto sia stata significativa per lui quella presenza: «È un segno che vogliono essere uniti. È più piccolo quello che ci divide di quanto ci unisce».

«Nel passato abbiamo testimonianze storiche e artistiche che mostrano che, nonostante lo scisma, certi gesti si possono fare e si devono fare» sostiene fra Frédéric Manns, francescano dello Studium Biblicum Franciscanum. «Anche il restauro in corso dei mosaici della Natività ha una dimensione ecumenica, perché sono mosaici realizzati nel momento in cui la Chiesa latina occupava la basilica, ma permetteva agli ortodossi di decorarla in gran parte». Lo studioso spiega infatti che, il pellegrino Fokas nel 1168 dice di aver visto nella chiesa l’immagine del suo imperatore bizantino Costantino Porfirogenito. «Questo fa capire che anche dopo lo scisma del 1054, quando la basilica era sotto il controllo dei crociati, esistevano strette relazioni tra le Chiese d’Oriente e d’Occidente», osserva fra Manns. A coloro che sostengono che questa settimana di preghiera per l’unità non serva a nulla, il francescano risponde: «Non è così, perché nella preghiera ci sono risultati che nessuno vede e questo è importantissimo. C’è Cristo che ci riunisce: il suo Corpo lo abbiamo diviso, ma possiamo aprirci allo Spirito e il frutto dello Spirito è l’unità. Se Gerusalemme, che è la Chiesa Madre, non riesce a radunare i suoi figli, significa che manca qualcosa».

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