Solo le istanze e le frustrazioni di tanti giovani iraniani ben istruiti e formati (anche all'estero) a scuotere Teheran in questi giorni. È una larga fetta di cittadini che chiede spazio vitale.
L’ossessione anti-religiosa dell’Occidente sta quasi eguagliando l’ossessione religiosa che anima certe parti dell’Oriente. Anche le recenti proteste in Iran, che hanno ben precise cause politiche e sociali, sono state subito incasellate alla voce “rivolta contro il velo”, a dispetto di una realtà che dice quasi esattamente il contrario. Perché l’obbligo del velo (peraltro negli ultimi tempi ridimensionato, soprattutto nelle grandi città) potrà pure essere una brutta cosa ma resta il fatto che nel periodo dello scià (l’ultimo monarca, Reza Pahlavi, fu deposto dalla rivoluzione khomeinista nel 1979 – ndr) solo un terzo delle donne iraniane era alfabetizzato, mentre dal 1977 ad oggi le università statali in Iran sono passate da 16 a 70 e tra i loro iscritti le ragazze sono arrivate a essere il 70 per cento. Le donne, poi, come ci spiega chi l’Iran lo conosce davvero, sono il 30 per cento dei medici e l’80 per cento degli insegnanti.
Presi dalle nostre categorie, quindi, facciamo ogni sforzo per ignorare la vera questione sociale che agita non solo l’Iran, ma l’intero Medio Oriente: che fare di tutti quei giovani. In Iran l’età media degli 82 milioni di abitanti è 30 anni (in Italia 45). Il 40 per cento della popolazione ha meno di 25 anni. Uno specchio quasi perfetto dell’intera regione, dove il 30 per cento dei 430 milioni di mediorientali ha meno di trent’anni. Sono, sia nel caso particolare dell’Iran sia in quello più generale del Medio Oriente, giovani preparati, che conoscono le loro materia e anche il mondo. Ogni anno arrivano per studiare in Italia circa mille giovani iraniani. E l’Iran manda a studiare negli Usa ogni anno circa 12 mila ragazzi, e a specializzarsi circa 2 mila tra visiting professor e ricercatori.
Sono gli stessi che poi finiscono disoccupati (in Iran la disoccupazione giovanile è al 26 per cento, il doppio di quella generale) o sotto-occupati, e si scontrano con società preoccupate e irrigidite (nel caso dell’Iran dall’eterna diatriba tra i fermenti della politica laica e il controllo sociale dei religiosi) mentre i coetanei delle periferie o delle campagne subiscono il fascino del radicalismo e della lotta armata.
Qui davvero l’Occidente potrebbe fare molto, con interventi sul sistema scolastico e il mercato del lavoro, per aiutare il Medio Oriente. E per quanto riguarda l’Iran, Stato-nazione (l’unico, insieme a Turchia ed Egitto nella regione) dal grande orgoglio nazionale e dove lo spirito di patria è patrimonio anche di coloro che scendono in piazza, non è certo minacciando che lo si vedrà diventare più “laico” come a molti, qui da noi, piacerebbe.
Perché Babylon
Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.
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Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com