Le reazioni internazionali all’annuncio del presidente Trump di voler trasferire l’ambasciata degli Usa da Tel Aviv a Gerusalemme sono state quasi unanimemente di condanna. La decisione non è ancora operativa. Infatti non si conosce la futura sede della massima rappresentanza diplomatica, ma le tensioni che ha suscitato la decisione del 6 dicembre scorso hanno già portato al rinvio del previsto viaggio a Gerusalemme del vicepresidente Mike Pence.
Di tutte le questioni spinose al centro del conflitto israelo-palestinese, nessuna è più complessa e della definizione dello status di Gerusalemme. La definizione israeliana di Gerusalemme come capitale unita ed eterna confligge con l’aspirazione dei palestinesi a fare della parte orientale la capitale del loro futuro Stato.
L’annuncio di Trump allontana gli Stati Uniti dal resto del mondo e legittima la costruzione di insediamenti israeliani a Est, considerati illegali dal diritto internazionale. Il 10 gennaio sono state approvate 1.122 nuove unità abitative, distribuite in 20 colonie e avamposti. Per 651 abitazioni sarebbe già stata indetta la gara d’appalto.
Gli Usa, con la decisione su Gerusalemme, abdicano di fatto dal ruolo di mediatori che in passato hanno ricoperto tra israeliani e palestinesi. Ma soprattutto infliggono un duro colpo al multilateralismo.
L’isolamento degli Usa è stato evidente all’Onu. Il 18 dicembre 14 membri su 15 del Consiglio di sicurezza hanno chiesto agli Usa un passo indietro, ma il veto di Washington ha bloccato la decisione. Più clamorosa è stata, tre giorni dopo, la votazione nell’Assemblea generale, che rappresenta tutti i 193 Stati membri e nella quale, teoricamente, il voto degli Usa equivale a quello di San Marino. I favorevoli alla condanna sono stati due terzi (128); 35 gli astenuti (18 per cento), 21 gli assenti (11 per cento). Hanno affiancato gli Stati Uniti nei 9 voti contrari solo Israele e pochi Stati legati politicamente e finanziariamente agli Usa: Guatemala, Honduras in Centroamerica, Togo in Africa e quattro piccoli arcipelaghi del Pacifico. Anche Afghanistan, Egitto, Giordania, Iraq e Pakistan, importanti beneficiari di aiuti economici e militari dagli Usa, non hanno recepito gli avvertimenti di Trump e hanno approvato la risoluzione. I «vicini» degli Usa, Canada e Messico, si sono astenuti, ma l’ambasciatore messicano non ha risparmiato critiche.
Tra i 28 Stati dell’Unione Europea, tutti hanno votato la condanna, tranne sei Paesi dell’Europa centro-orientale che si sono astenuti. Oltre all’Italia e ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza (Francia e Regno Unito), anche la Germania che tradizionalmente si astiene nelle questioni relative a Israele. E un voto di condanna è stato espresso dall’India, di recente molto in sintonia con il governo di Netanyahu.
L’Assemblea generale ha ribadito la necessità di preservare la dimensione spirituale, religiosa e culturale della città e che la questione del suo status finale deve essere risolta attraverso negoziati. Chiede agli Usa di non trasferire la capitale e di riprendere il percorso di dialogo verso la soluzione dei due Stati. Punto di riferimento resta la risoluzione 478 del 1980, quando il Consiglio di Sicurezza (con l’astensione degli Usa) approvò una condanna della dichiarazione israeliana che faceva di Gerusalemme la capitale dello Stato. Da allora nessun Paese ha trasferito la propria ambasciata nella Città Santa.
Le reazioni irritate di Trump e della sua ambasciatrice all’Onu, Nikki Haley, hanno messo ancora più in luce l’isolamento. Haley ha dichiarato che gli Usa si ricorderanno dei Paesi che «hanno mancato di rispetto», quando avanzeranno richieste di fondi al maggiore contribuente del sistema delle Nazioni Unite. Ha concluso che gli Usa sposteranno l’ambasciata, il voto non ha alcuna influenza su questo, ma influenzerà il modo in cui gli americani guardano all’Onu.
In effetti, il voto dell’Assemblea generale è simbolico, anche se Mahmoud Abbas l’ha definita una vittoria per la Palestina. Appare come una sorta di referendum sulla linea unilateralista che prevale nell’attuale amministrazione di Washington. Accanto agli Usa, resta solo il governo di Israele, tra le cui fila è circolata anche la proposta di sfrattare gli uffici dell’Onu a Gerusalemme per assegnare l’edificio ad altri scopi. Forse alla nuova ambasciata Usa?
Terrasanta 1/2018
Il sommario dei temi toccati nel numero di gennaio-febbraio 2018 di Terrasanta su carta. Tutti i contenuti, dalla prima all’ultima pagina, ordinati per sezioni. Buona lettura!
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