Quando Donald Trump, il 13 dicembre scorso alla Casa Bianca, è stato premiato per la sua decisione di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, riconoscendo così di fatto l’annessione dell’intera città allo Stato di Israele, ha ricevuto il premio Friends of Zion da Mike Evans, figura di spicco del mondo evangelical sionista statunitense. Evans è molto attivo a Gerusalemme, dove ha fondato nel 2015 il museo degli Amici di Sion. «Nessun presidente nella storia – ha dichiarato durante la premiazione – ha costruito una simile alleanza con lo Stato di Israele e il popolo ebraico». Pochi giorni prima il pastore texano John Hagee, leader della maggiore organizzazione pro-Israele degli Stati Uniti, i Christian United for Israel, si era spinto ad affermare che, mantenendo la sua promessa, Trump «è entrato nell’immortalità politica».
I leader delle Chiese evangelical hanno avuto un peso determinante sulla decisione di Trump preannunciata in campagna elettorale. Questo settore del protestantesimo negli Usa rappresenta circa un quarto della popolazione del Paese. Nell’America profonda della cosiddetta Bible Belt, i cristiani sionisti offrono a Israele un sostegno che va oltre la dimensione politica. Organizzano cerimonie in favore di Israele, spesso in concomitanza con la festa ebraica delle Capanne (Sukkot); appoggiano in pieno la destra israeliana e gli insediamenti nei territori, più di molti ebrei favorevoli a una soluzione negoziata tra israeliani e palestinesi. Secondo un sondaggio realizzato dal Pew Research Center nel 2013 la percentuale di evangelical secondo cui Israele è la terra data da Dio al popolo della Bibbia è nettamente più alta della percentuale di ebrei americani.
La principale conseguenza politica di tali opinioni è una totale indifferenza rispetto alla questione palestinese, che non favorisce alcun ruolo di mediazione degli Usa nel conflitto. Alla destra religiosa americana è legato anche il vice di Trump, Mike Pence, atteso in Medio Oriente nei giorni scorsi per un viaggio che è stato posticipato al nuovo anno. Ad accoglierlo a Gerusalemme ci sarà anche Mike Evans, che intanto ha posto uno striscione di dodici metri sulla facciata del museo degli Amici di Sion in cui ringrazia il presidente Usa: «Dio benedica Trump da Gerusalemme DC (David’s Capital – capitale di Davide) a Washington DC». Secondo il quotidiano Haaretz, sono una sessantina gli striscioni di questo tipo sparsi per la città.
Evans non ha mai nascosto l’intento propagandistico della sua attività in Israele: il suo Friends of Zion Heritage Center vuole condurre una battaglia mediatica ed economica, mobilitando decine di milioni di «amici». Il numero non è un’iperbole, come si desume dalla pagina Facebook del Jerusalem Prayer Team, organizzazione da lui fondata e che ha quasi 31 milioni di «Mi piace». Il museo, aperto nel 2015 a poche centinaia di metri dalle mura della Città vecchia, ha già avuto circa 150 mila visitatori, inclusi alcuni personaggi dello sport e dello spettacolo popolari negli Usa.
All’inaugurazione, l’edizione francese di Terrasanta.net aveva offerto una presentazione di questa nuova attrattiva per turisti e fedeli che visitano Gerusalemme. Visite guidate in sedici lingue e un grande impiego di tour virtuali attraverso la geografia e la storia della terra «promessa» veicolano precisi messaggi, compreso un discorso del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu da seguire con occhiali 3D. Gli spettatori sono accompagnati a scoprire i contributi che celebri cristiani hanno dato agli ebrei per realizzare la promessa biblica di tornare nell’antica terra e ristabilire la capitale a Gerusalemme. Passato biblico e politica otto e novecentesca si intrecciano in una lettura apocalittica degli eventi, che oggi include il recentissimo ordine di Trump.
«Un sionismo cristiano del tutto cieco sul conflitto israelo-palestinese è ancora cristiano?», era una domanda posta in occasione dell’inaugurazione del museo. Anche in Israele il movimento cristiano sionista solleva pesanti dubbi: il Gran rabbinato nel 2015 sconsigliava di partecipare ai raduni annuali organizzati a Gerusalemme dall’Icej, la cosiddetta «ambasciata» che gli evangelical hanno a Gerusalemme. Già nel 2007 l’allora patriarca latino mons. Michel Sabbah si era espresso in una dichiarazione firmata insieme ai responsabili delle Chiese siriaca ortodossa, anglicana e luterana a Gerusalemme. Lo aveva definito «un movimento teologico e politico che fa proprie le posizioni ideologiche più estreme del sionismo, fino a recare danno a una pace giusta in Palestina e in Israele». (f.p.)