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In mostra gli scatti di ex detenuti nelle carceri israeliane

Beatrice Guarrera
11 dicembre 2017
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Fino a metà dicembre sono esposte nella chiesa scozzese di Gerusalemme le fotografie realizzate da quindici ex detenuti: un’esperienza di riflessione e di riscatto.


Adeeb è un ex carcerato e sa che cosa significhi dormire per strada. Oggi, anche se è passato del tempo e lui è cambiato, la vita in strada gli torna in mente come il peggiore incubo. «Parcheggio privato» è il titolo dello scatto con cui riflette su questa parte del suo vissuto. Lo ha realizzato tenendo in mano per la prima volta una macchina fotografica e raccontando il suo punto di vista.

Questa fotografia è parte della mostra intitolata As I am («Così come sono»), visitabile fino a metà dicembre nella chiesa scozzese di Gerusalemme, vicino alla vecchia stazione. Come Adeeb, una quindicina di ex detenuti nelle carceri israeliane hanno partecipato a un laboratorio fotografico e hanno poi scattato immagini. Gli incontri sono stati tenuti dalla fotogiornalista Andrea Krogmann, all’interno di un progetto di reintegrazione nella società, promosso dalla House of Grace di Haifa, una struttura che dal 1982 opera a favore di chi è uscito dal carcere. «Abbiamo fornito alcune macchine fotografiche e posto alcune domande – racconta Andrea Krogmann -. Dopo una introduzione, abbiamo chiesto loro di uscire e di dare una risposta sotto forma di foto». Una selezione di questi scatti è stata esposta nella mostra.

Per molti di coloro che hanno fatto esperienza della reclusione, il passo più difficile è ammettere i propri errori e ascoltare le critiche per abbracciare finalmente la verità. Nasce così lo scatto intitolato «Accettando la verità». In un altro si riflette, invece, sul concetto di salvezza, catturando l’immagine di una rampa di scale e un cancello in controluce. Gli ex detenuti provano, dunque, a esprimere le proprie sofferenze, le domande, le difficoltà incontrate dopo essere usciti dal carcere.

«Ogni anno cerchiamo di proporre qualcosa di nuovo – ha detto all’inaugurazione Jamal Shehede, direttore di House of Grace -. Qualcosa con cui non hanno mai avuto a che fare, per mostrare loro che hanno competenze e abilità». L’idea del laboratorio fotografico è stata un successo. La mostra che ne è nata si sviluppa su tre principali tematiche: «La mia più grande paura», «House of Grace – Casa» e «Coinquilino». «Ci sono diversi progetti in corso – spiega entusiasta Jamal -, dalla ceramica allo psicodramma, ma nel caso della fotografia è diverso: abbiamo qualcosa che rimane e che può essere mostrato anche in futuro».

L’inaugurazione si è svolta in occasione della festa di sant’Andrea nella chiesa scozzese di Gerusalemme, dove la mostra resta aperta al pubblico per due settimane. All’inaugurazione era presente Mohammad, anch’egli con un passato in carcere. Nel suo volto scuro si legge il peso di diciotto anni trascorsi dietro alle sbarre. «Sono orgoglioso di poter essere parte della House of Grace, per essere un uomo come gli altri, che vive come tutti», racconta. Mohammad è originario di Gerusalemme, ma in tanti anni ha girato tutte le carceri del Paese. Oggi lavora in una società di autobus della sua città. Nella chiesa scozzese, tra le fotografie esposte, Mohammad indica la sua. «Questo laboratorio mi ha fatto sentire di nuovo che sono un essere umano – afferma -. Di solito vedo sempre il lato negativo della vita, ma questo progetto mi ha insegnato a guardare il mondo con una prospettiva migliore, vedendo il bello intorno a me».

 


 

Una casa per chi esce dal carcere

House of Grace è una organizzazione nata nel 1982 che ha sede nella cattedrale melchita di Haifa. Kamil e Agnes Shehede decisero di seguire il passo del Vangelo di Matteo che dice «[ero] carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36). Così fondarono un’associazione per ospitare ex detenuti da poco rilasciati e permettere loro di reintegrarsi nella società. Oggi House of Grace è diretta dal loro figlio Jamal e ha ampliato i progetti. Ha uno staff di quindici persone e sono quindici gli ex detenuti che ospita con le famiglie. Aiuta più di 250 famiglie bisognose dell’area di Haifa e accoglie un migliaio giovani a rischio che svolgono attività pomeridiane nella sua struttura.

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