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A Betlemme gli artigiani della madreperla fanno scuola

Marie-Armelle Beaulieu
8 dicembre 2017
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All’ombra della basilica della Natività, a Betlemme, è attivo un laboratorio artigianale per la lavorazione della madreperla. Un’arte introdotta nel Sedicesimo secolo dai francescani.


Il «Buongiorno!» di Daoud, accompagnato da un timido gesto della mano, è coperto dal rumore dei macchinari. Daoud è nuovo. Lo si capisce dall’impazienza che mostra. Viene al «Centro» per esercitarsi e, dopo pochi minuti di lavoro, porge la sua prima croce a Salim, che non nasconde la propria gioia. Il ragazzo è talentuoso, ha il mestiere nel sangue e tutti i presupposti per diventare un giorno come lui: artigiano nella lavorazione della madreperla. Salim Atick è l’ultimo maestro di madreperla rimasto in Palestina. Ed è più che mai attivo! A 52 anni, lui – che ha appreso dal padre un’arte tramandata per cinque generazioni – ha un’unica ambizione: formare nuovi maestri che portino avanti quest’arte antica in cui i betlemmiti primeggiano.

Anche Salim ha rischiato di rinunciare al proprio lavoro. Accadde all’epoca della seconda intifada (2000-2004) quando, durante un’incursione notturna, la porta del suo laboratorio fu distrutta dall’esercito israeliano e gran parte del suo materiale venne rubato. Nello stesso periodo, uno dopo l’altro, tutti i laboratori di madreperla cessarono l’attività, per l’assenza di pellegrini che da sempre acquistavano i loro prodotti. Nonostante le perdite subite e, poiché ama infinitamente il suo mestiere, Salim è riuscito a mantenersi a galla.

Nello stesso tempo, fra Michele Piccirillo (1944-2008), archeologo della Custodia di Terra Santa, terminava la redazione del suo libro La nuova Gerusalemme. L’artigianato palestinese al servizio dei luoghi santi (nel riquadro a destra accanto alla foto – ndr). Grazie a una rete di amici, l’archeologo francescano appassionato d’arte, aveva potuto visitare musei e collezioni private, scoprendo che gli esemplari più preziosi realizzati in madreperla, originari di Betlemme, erano stati salvati. E proprio nel momento in cui padre Michele si accingeva a presentare la splendida produzione realizzata dall’artigianato cristiano palestinese lungo i secoli, tutto ciò rischiava di scomparire? Questo significherebbe non conoscere affatto padre Michele, poiché egli amava profondamente sia la storia antica, sia quella contemporanea. Nel 2003, con l’aiuto di alcuni benefattori, fece arrivare a Betlemme un maestro artigiano della madreperla, l’italiano Salvatore Giannottu. In un annesso del convento francescano, installò un laboratorio con due banchi attrezzati. Purtroppo la sua morte prematura, avvenuta nel 2008, mise fine all’impresa. Fino a quando fra Ibrahim Faltas, anch’egli francescano, ne raccolse il testimone.

«A Betlemme, la madreperla è una tradizione francescana. Furono proprio i frati ad introdurla nel Sedicesimo secolo e sono sempre loro a portarla avanti anche nel Ventunesimo». Il religioso egiziano è felice dell’eredità ricevuta dai suoi illustri predecessori. Si deve infatti a padre Faltas l’idea di aver ingrandito e spostato in altra sede, quello che per tutti i suoi frequentatori è «il Centro». Grazie al sostegno di donatori privati ed enti pubblici – come la Provincia di Trento – il francescano è riuscito a coprire le spese per l’acquisto dei macchinari e per avviare la produzione. «Il Centro, non è semplicemente un laboratorio per lavorare la madreperla, ma una scuola dove formare artigiani. Da quando, nel 2014, è stato potenziato il progetto, abbiamo consentito ad alcuni giovani cristiani di Betlemme, rimasti senza lavoro perché avevano abbandonato prematuramente la scuola, di specializzarsi trovando un’occupazione. Noi formiamo i giovani perché quest’arte così antica non vada perduta», prosegue il francescano, a lungo direttore della Scuola di Terra Santa di Betlemme e profondo conoscitore delle difficoltà, ma anche del potenziale della città palestinese.

Samer Babun, che gestisce il Centro, dichiara con orgoglio: «Il nostro è uno dei laboratori di madreperla meglio attrezzati al mondo per la tutela della salute dei lavoratori». Nonostante vi operino molte persone, non c’è polvere in sospensione. «Tutto è aspirato nel punto di emissione con apposite cappe. Sicurezza e salute dell’artigiano sono questioni prioritarie. Per quanto riguarda l’ambiente, dobbiamo ancora migliorare la raccolta della polvere aspirata per chiuderla in appositi sacchi». Samer non è un dirigente come altri. Lui stesso preferisce definirsi come un «facilitatore». È disponibile e aperto; accetta ognuno secondo le proprie caratteristiche e non impone orari. «Vogliamo – dice – che i giovani frequentino il Centro con soddisfazione. Abbiamo programmato i corsi tre giorni alla settimana, ma ogni altro giorno il laboratorio è aperto dalle 8 alle 20».

Il francescano Bernardino Amico, che visse a Betlemme tra il 1593 e il 1597, era architetto e disegnatore. Fu lui ad introdurre l’artigianato della madreperla che permise agli artigiani di Betlemme di eccellere nel settore. Fra Amico mostrò loro i modelli della Basilica della Natività e del Santo Sepolcro affinché li potessero realizzare in legno (di pistacchio e di ulivo) e madreperla. Sono questi i capolavori contesi dai musei; anzi non più contesi, dato che le opere note sono ormai tutte nei musei più importanti o presso collezionisti privati.

Padre Ibrahim Faltas osserva la fotografia del primo corso organizzato al Centro. Molti allievi hanno già un lavoro e uno di loro ha aperto il suo laboratorio. «Tutti i laboratori che avevano chiuso con la seconda intifada, oggi riaprono e quest’attività ricomincia a produrre», osserva il frate. Di questo, e a ragione, è evidentemente soddisfatto. Ma la sfida non è ancora vinta. Oggi la scuola vive grazie ai contributi dei donatori. «Oggi come oggi gli allievi frequentano i corsi gratuitamente e vorremmo continuare così».

Poi, bisognerà attrarre i pellegrini, affinché acquistino oggetti di pregio, anziché prodotti cinesi di scarsa qualità. Samer è fiducioso: «I cinesi possono competere, ma non sapranno imitarci. La qualità del nostro lavoro fa la differenza. I pellegrini saranno oggi, come sempre, un fattore essenziale».

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