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Sinai, strage della moschea: i cristiani si stringono alle vittime

Francesco Pistocchini
28 novembre 2017
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Sinai, strage della moschea: i cristiani si stringono alle vittime
Sinai, la moschea di al-Rawda dopo la strage del 24 novembre in cui sono morti oltre trecento fedeli.


Profonda vicinanza alle vittime musulmane della strage nel Sinai arriva dai cristiani, in particolare i copti dell'Egitto, che condividono le preoccupazioni per il fanatismo religioso.


Le campane delle chiese copte di tutto l’Egitto hanno suonato sabato 25 novembre in segno di solidarietà con le vittime dell’attacco terroristico alla moschea di al-Rawda, nel villaggio di Bir el-Abed (Sinai settentrionale), avvenuto il giorno prima e che ha causato la morte di oltre trecento persone.

Papa Tawadros II ha manifestato cordoglio per i fedeli innocenti uccisi e la sua vicinanza ai feriti che sono oltre un centinaio. «Piangiamo i martiri del nostro Paese – ha detto il patriarca della Chiesa ortodossa copta -. Che il Signore liberi l’Egitto dalla morsa di un terrorismo senza precedenti che gli egiziani, nella loro tolleranza radicata nel tempo, respingono completamente». Il patriarca copto, che rappresenta la maggior parte dei cristiani dell’Egitto, ha parlato da Berlino dove si trova per cure mediche che gli impediscono di essere personalmente vicino agli egiziani. I vescovi copti del Cairo e di Ismailiya si sono recati in visita ai feriti negli ospedali e, in molti luoghi del Paese, i responsabili cristiani hanno espresso le loro condoglianze ai leader musulmani e ai rappresentanti del ministero degli Affari religiosi. Messaggi di condanna sono giunti dalle organizzazioni della diaspora copta nel mondo.

Attraverso i social network la società egiziana si è ritrovata unita, esprimendo sentimenti di tristezza e ripulsa per l’attacco brutale. Dal cantante Hassan al-Shafei all’attaccante della nazionale di calcio Ahmed al-Sheikh, numerosi personaggi celebri hanno parlato della strage, invitando anche le persone a donare sangue per le trasfusioni urgenti negli ospedali di al-Arish e Bir al-Abd.

I copti egiziani si sentono naturalmente vicini alle vittime, accomunati dal senso di insicurezza e persecuzione provocato dagli stessi gruppi estremisti che nell’ultimo anno sono stati responsabili di oltre un centinaio di vittime in attacchi a chiese e sparatorie. La presenza di milizie jihadiste nella penisola del Sinai rende la vita dei copti sempre più incerta. Nel 2017 decine di famiglie cristiane sono fuggite dal nord della penisola per una serie di uccisioni attribuite a militanti islamisti. Lo scorso febbraio almeno sette cristiani sono stati uccisi ad al-Arish, capoluogo del Sinai settentrionale. Proprio ad al-Arish, a pochi chilometri dalla moschea attaccata venerdì 24 novembre, la chiesa di San Giorgio negli ultimi anni è stata presa d’assalto due volte. Dai saccheggi sono state salvate solo alcune icone e, cosa più importante per la comunità copta locale, alcune reliquie di san Giorgio. L’anno scorso i miliziani hanno freddato un sacerdote.

Nell’attacco terroristico di al-Rawda, fino a oggi il più tragico per numero di vittime, l’obiettivo è stata una moschea frequentata da fedeli sunniti, molti dei quali di spiritualità sufi. La moschea custodisce al suo interno una zawiya, una cella dedicata alla preghiera dei mistici, tipica della tradizione delle confraternite sufi. Anche se l’attentato non è stato rivendicato, chiaramente se ne attribuisce la responsabilità all’estremismo jihadista che anche in passato ha preso di mira figure dell’Islam mistico, considerato dagli estremisti «politeista» perché esprime devozione verso figure di «santi».

L’estremismo di matrice salafita considera molte pratiche religiose sufi come improprie e mai prescritte dal profeta Mohammed, nonostante il sufismo sia largamente diffuso da secoli in molte aree del mondo sunnita: appartiene a una corrente sufi anche Ahmad al-Tayyib, grande imam dell’Università di al-Azhar, che è la massima istituzione dell’Islam sunnita egiziano. A lui si è rivolto in una lettera Olav Fyske Tveit, il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, che riunisce 348 Chiese cristiane di tutto il mondo. «Dobbiamo condannare questo attacco ai nostri fratelli e alle nostre sorelle musulmane avvenuto nel disprezzo della vita umana – ha scritto -. Addolora vedere le persone in preghiera divenire un bersaglio».

«Quella gente in quel momento pregava. Anche noi in silenzio, preghiamo…», ha detto papa Francesco nell’Angelus due giorni dopo la strage. «Dio ci liberi – ha aggiunto – da queste tragedie e sostenga gli sforzi di tutti coloro che operano per la pace».

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