Saranno restaurate, grazie a un’ingente donazione (750 mila dollari) del consolato degli Stati Uniti d’America, le tre piscine di (re) Salomone, situate a Betlemme sulla strada che conduce al villaggio di Hortas e costruite al tempo della nascita di Gesù.
«L’importanza di questo sito deriva dal fatto che per secoli ha fornito acqua a Gerusalemme, quindi è nostro dovere proteggerlo dall’incuria in cui si trova e ripristinarlo», afferma George Bassous, direttore generale delle piscine di Salomone.
Grazie alle loro dimensioni – spiega l’Istituto di studi sulla Palestina – gli antichi bacini sono stati fondamentali nei gravi periodi di siccità patiti da Gerusalemme. Profonde 8 metri e lunghe 120 ciascuna, le vasche sono in grado di contenere complessivamente oltre 200 milioni di metri cubi d’acqua. Grazie ad una sofisticata rete di acquedotti, in epoca romana, il prezioso liquido giungeva fino alla residenza di Erode il Grande. Proprio re Erode si pensa avesse ordinato la costruzione dell’acquedotto più antico anche se altri scavi datano il complesso al II sec. a.C.
Il nome di queste enormi piscine deriva però da alcuni versi dell’Antico Testamento, in cui re Salomone afferma: «Mi sono fatto vasche, per irrigare con l’acqua le piantagioni» (Qoelet 2,6). Giuseppe Flavio, autore ebreo del I secolo a.C, in uno dei suoi scritti riporta che qui «il re Salomone veniva all’alba scortato da guardie armate e passeggiava tra i boschi ricchi di ruscelli». Nel 1618, il sultano Uthman Khan costruì vicino al sito una fortezza, il castello di Murad, per proteggere l’acqua preziosa delle piscine.
Negli ultimi decenni però il sito è stato lasciato all’incuria e solo una delle tre piscine è colma d’acqua. Secondo l’Istituto di studi sulla Palestina, dal 1993, almeno sei persone sono annegate nelle vasche non sorvegliate. Risulta perciò evidente la necessità di un restauro che potrebbe rilanciare le piscine anche come risorsa turistica della Cisgiordania.
«Un progetto che oltre a salvaguardare la storia protegge le vite e i mezzi di sussistenza delle persone che vivono oggi nella zona», conclude George Bassous.