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La Chiesa primitiva in Galilea, nuove scoperte

Christophe Lafontaine
22 novembre 2017
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La Chiesa primitiva in Galilea, nuove scoperte
Raffigurazione di un pavone e iscrizioni in greco in uno dei mosaici rinvenuti la scorsa estate in Galilea. (foto Yeshu Dray)

Recenti scavi archeologici nella Galilea occidentale (Israele) fanno luce sulla vita della Chiesa locale nel Quinto secolo. Il ruolo delle donne, le finanze, i vescovi, i convertiti...


Sette mosaici ed iscrizioni greche risalenti alla fine dell’età classica sono stati rinvenuti nella Galilea occidentale l’estate scorsa, come risultato degli scavi realizzati sui resti di tre chiese bizantine, una delle quali fino a quel momento sconosciuta. I media israeliani hanno dato rilievo alla notizia solo pochi giorni fa evitando di riferire il luogo esatto dei ritrovamenti per evitare atti di vandalismo. Il timore è che qualcuno possa saccheggiare i siti o comunque effettuare scavi clandestini. È ancora fresco il ricordo della profanazione, avvenuta nel 2012, dei resti della sinagoga Hammath (presso Tiberiade), risalente al periodo talmudico (circa 1.600 anni fa): i muri furono ricoperti di graffiti e il pavimento mosaicale danneggiato.

La vita cristiana in Galilea nel corso del Quarto e Quinto secolo è oggetto di una ricerca condotta dall’archeologo Mordechai Aviam e dallo storico Jacob Ashkenazi, docenti del College Kinneret sul Mare di Galilea, un istituto a carattere universitario nel nord di Israele. Il loro lavoro di indagine è finanziato, con una borsa di studio triennale, dalla Fondazione delle scienze.

Al termine, i due studiosi pubblicheranno gli esiti delle loro ricerche. I ritrovamenti a cui accennavamo in apertura rappresentano una grande soddisfazione per la prima fase degli scavi. Uno dei sette mosaici venuti alla luce dimostrerebbe che le donne avevano un posto importante nella Chiesa primitiva: un’iscrizione in greco, risalente al Quinto secolo, menziona una certa Susanna (Shoshana in ebraico), onorata come benefattrice e mecenate per la costruzione di una chiesa nel villaggio. «La cosa sorprendente è che accanto al suo non viene menzionato il nome del marito. Abbiamo a che fare con una donna indipendente, in grado di mettere a disposizione del denaro per la chiesa, il che la dice lunga sulla vita di questo villaggio di Galilea», ha spiegato Mordechai Aviam al quotidiano israeliano Haaretz.

In effetti, in una società patriarcale (d’epoca post romana) in cui le donne dipendevano finanziariamente dal marito o da un tutore di sesso maschile, questa situazione è piuttosto insolita. Il che prova che anche al di fuori delle grandi città, dove abitavano le famiglie aristocratiche, vi erano donne in grado di raggiungere la propria indipendenza. Nel Quinto secolo Susanna non era certamente un caso isolato, come osserva Christianity Today, mensile cristiano evangelico di informazione e riflessione: un certo numero di donne di alto rango ha giocato un ruolo importante nella storia della Chiesa primitiva. Molte donne delle classi sociali più elevate sceglievano il cristianesimo, mentre i mariti, spesso, restavano pagani per conservare il proprio status sociale e politico.

Gli altri mosaici riportati alla luce la scorsa estate nelle vestigia delle tre chiese presentano disegni elaborati. Secondo Haaretz ciò significa che i committenti dovevano essere comunità prospere. E tuttavia, contrariamente alla norma nelle chiese dei centri urbani più ricchi, i pavimenti musivi di queste chiese della Galilea occidentale non raffigurano animali, ma forme geometriche ed iscrizioni. Mordechai Aviam è convinto che ciò non sia dovuto a qualche forma di proibizione d’ordine spirituale, ma piuttosto al fatto che gli abitanti delle zone rurali non potevano permettersi di ingaggiare mosaicisti abili nella realizzazione di motivi floreali o di figure animali. D’altronde gli archeologi – riferisce il quotidiano The Times of Israel – hanno riscontrato numerosi errori nelle iscrizioni in lingua greca, segno che gli artisti non dovevano essere tra i migliori e più accurati. Salvo due eccezioni…

Vi è un mosaico che raffigura il ramo di un melograno e un altro, impressionante per la sue dimensioni di 5 metri di lunghezza, che rappresenta un pavone. Quest’ultimo mosaico è il più grande finora rinvenuto nella regione. L’opera permette di leggere la sua data d’origine – agosto/settembre 445 – e il nome del vescovo di Tiro, Ireneo. Vi si legge anche che l’uomo di Chiesa è amico di Nestorio, vescovo e teologo dei primi secoli del cristianesimo, noto per aver contestato l’attribuzione a Maria Vergine del titolo di Theotokos (in greco «Genitrice di Dio», o, più comunemente, «Madre di Dio»). Nestorio pensava che una donna, una creatura, non può diventare la madre di Dio, che è l’Essere per eccellenza e dunque senza causa. I suoi insegnamenti furono condannati (nel concilio di Efeso del 431 – ndr) perché ritenuti eretici. Fino alla scoperta di questo mosaico, gli studiosi non avevano certezze circa la data dell’ordinazione episcopale del vescovo di Tiro (città, oggi in Libano, che all’epoca era punto di riferimento di tutta la regione). L’iscrizione riportata nel mosaico menziona il 445 come anno di completamento della chiesa in cui si trova ed attribuisce ad Ireneo il titolo di episkopos, confermando così che era già vescovo almeno dal 444.

Oltre al vescovo Ireneo, altri nomi della gerarchia ecclesiastica compaiono nell’iscrizione. Si citano alcuni diaconi e un vescovo «inviato speciale», che ha visitato i villaggi della Galilea per rispondere ai problemi d’ordine religioso, oltre ad un altro vescovo responsabile delle risorse economiche. «Abbiamo avuto molta fortuna con questa scoperta. Ci offre molte informazioni per cominciare a costruire la mappa della società cristiana bizantina in Galilea, con la sua economia e la gerarchia ecclesiastica», ha dichiarato Mordechai Aviam a The Times of Israel.

L’Impero romano – osserva ancora l’archeologo – abbracciò la fede cristiana nel corso del Quarto secolo, Queste recenti scoperte archeologiche ci confermano quindi che nel giro di un secolo il cristianesimo era penetrato profondamente nelle sperdute colline della Galilea.

Le iscrizioni sugli altri mosaici esaminati riportano ulteriori nomi di vescovi e di donatori vari e mostrano che i cristiani di 1.600 anni fa avevano radici siriane e fenice ed erano neoconvertiti dal paganesimo. Non appaiono infatti nomi ebraici. Questa tesi, sempre secondo Aviam, è rafforzata dal fatto che negli antichi villaggi galilei fin qui esplorati non si è rinvenuta prova alcuna di una comunità giudaica convertita al cristianesimo.

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