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Gerusalemme l’irriducibile

Federica Sasso
10 novembre 2017
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In un recente convegno, un gruppo di studiosi ha chiesto all'Unesco - ma il discorso vale per tutti - di non semplificare e banalizzare il passato (e il presente) di Gerusalemme.


Per pronunciarsi su una realtà complessa e stratificata come quella di Gerusalemme, ed evitare «risposte semplicistiche, inadeguate e divisive, che possono portare – e di fatto portano – a conseguenze dannose, la competenza degli esperti è necessaria». Ma l’Unesco – l’agenzia Onu per la cultura – non lo sta più facendo. Questa è la conclusione a cui sono arrivati quindici studiosi affiliati a Unitwin, il network dell’Unesco per gli studi interreligiosi e interculturali, che il 17 e 18 Ottobre si sono riuniti a Gerusalemme per confrontarsi sul tema del nome dei luoghi santi della città.

La conferenza intitolata Nominare il Sacro è stata l’occasione per riflettere su quello che non va nelle modalità decisionali dell’Unesco, e sul perché l’agenzia dedicata all’educazione, la scienza e la cultura, negli ultimi sei anni abbia emesso una serie di risoluzioni profondamente divisive sulla “città santa”. Documenti che non tengono conto della verità storica dei luoghi e mettono in crisi l’efficacia e la credibilità dell’Unesco. Come il documento pubblicato esattamente un anno fa, in cui si negava la connessione degli ebrei con il Monte del Tempio, scegliendo di utilizzare per quell’area solo la denominazione arabo-islamica Haram al-sharif (“Nobile Santuario), riferendosi alla Spianata delle Moschee.

L’incontro di ottobre è stato organizzato dal professor Alberto Melloni docente presso le università di Modena-Reggio Emilia e di Bologna e dal dottor Alon Goshen-Gottstein dell’Elijah Interfaith Institute di Gerusalemme, e ha raccolto studiosi provenienti da paesi come Francia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, India Tajikistan e Russia. Per valutare la situazione di Gerusalemme il gruppo di esperti si è focalizzato sulla conservazione della memoria storica attraverso le epoche e i cambi di potere. E basandosi sullo studio delle tradizioni di conquistatori come l’impero romano, turco ottomano o l’impero britannico, i quindici studiosi sono arrivati a una conclusione sferzante, che paragona le dichiarazioni dell’Unesco al tentativo stalinista di cancellare i luoghi di culto cristiani rimpiazzandoli con contenuti graditi al regime sovietico. Quello che caratterizza Gerusalemme è la complessità della sua storia, e secondo Goshen-Gottstein «applicare una visione parziale a una realtà storica molto complessa non ci aiuterà mai a progredire. Semplicemente prolungherà lo stallo in cui ci troviamo». Goshen-Gottstein crede che per promuovere l’obiettivo Unesco di una cultura di pace e comprensione fra nazioni, sia necessario mantenere «un approccio complesso e sfaccettato». Proprio quello che sembra essere venuto meno. Il gruppo di cattedratici ha sottolineato che l’agenzia dispone di risorse preziose, e che se gli studiosi affiliati a Unesco fossero consultati prima della stesura dei documenti potrebbero aiutare a stabilire una descrizione storica fedele, che tenga conto delle tante comunità legate a questi luoghi.

Dopo anni di discordia fra Israele, gli Stati Uniti e le correnti prevalenti all’interno dell’agenzia, nel 2017 l’Unesco è stata attaccata dagli Stati Uniti per aver definito Israele «una potenza occupante» e aver identificato il centro storico di Hebron, la città della Cisgiordania in cui si trova la Tomba dei Patriarchi come patrimonio storico palestinese in pericolo. Ad ottobre le tensioni hanno raggiunto il culmine quando Stati Uniti e Israele hanno annunciato il loro ritiro dall’agenzia, e nello stesso periodo è stata nominata la nuova direttrice, Audrey Azoulay. Durante la conferenza stampa che ha concluso i lavori dell’incontro Nominare il Sacro, Steven Shankman, cattedratico Unesco presso l’Università dell’Oregon ed esperto di dialogo Interreligioso, ha affermato che Azoulay «sembra intenzionata a portare un cambiamento» e ha aggiunto che l’appello del gruppo di studiosi non va letto solo come «una voce di critica accademica, ma anche [come] un messaggio di speranza per il futuro dell’Unesco».

 


 

Perché S(h)uq

Suq/Shuq. Due lingue – arabo ed ebraico – e praticamente una parola sola per dire “mercato”. Per molti aspetti la vita in Israele/Palestina è fatta di separazioni ed attriti, e negli ultimi anni è cresciuta la distanza fra la popolazione araba ed ebraica. Ma il quotidiano è fluido e anche sorprendente. Come a Gerusalemme i dettagli architettonici di stili diversi convivono da sempre uno vicino all’altro, anche le persone in questa terra non smettono mai di condividere del tutto. E il mercato è uno dei luoghi in cui questo è più evidente. Ebrei, musulmani, stranieri, immigrati, pellegrini. Ci si ritrova lì: per comprare, mangiare, vendere, ballare, e anche pregare. Questo blog vuole essere uno spazio in cui incrociare le storie, persone e iniziative che possono aiutarci a cogliere qualcosa in più su come va la vita da queste parti, al di là della politica e della paura. 

Federica Sasso è una giornalista e vive a Gerusalemme. La sua prima redazione è stata il Diario della Settimana, poi da New York ha collaborato con testate come Il Secolo XIX, l’Espresso, Altreconomia e con la Radio della Svizzera Italiana. Da Gerusalemme scrive per media italiani e produce audio reportages per la radio tedesca Deutsche Welle. Per Detour.com ha co-prodotto documentari sonori che consentono di esplorare Roma accompagnati dalle voci di chi la conosce bene. 

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