Occorre salvare Lifta, borgo arabo a ovest di Gerusalemme, abbandonato 70 anni fa in occasione della prima guerra arabo-israeliana. Lo ha detto a New York, il 16 ottobre scorso, il Fondo mondiale per i monumenti (World Monuments Fund, Wmf). Questo villaggio fantasma della Palestina mandataria fa ormai parte della lista stilata nel 2018 da Wmf relativa ai monumenti che «devono far fronte a grandi minacce, come conflitti, catastrofi naturali, cambiamenti climatici o urbanizzazione». Il Wmf è un’organizzazione americana, privata e indipendente, senza scopo di lucro; fondata nel 1965, ha come obiettivo di preservare i monumenti in pericolo in tutto il pianeta. Nel 1996 ha lanciato il World Monuments Watch (Sorveglianza mondiale dei monumenti), un programma che si prefigge di identificare i siti culturali in pericolo e di offrire un’assistenza tecnica e finanziaria diretta, volta alla loro conservazione. Ogni due anni viene pubblicata la lista dei siti inseriti nel programma World Monuments Watch e selezionati, tra le varie candidature presentate, da un gruppo di esperti di architettura, archeologia o arte. Dal lancio del programma, il Wmf ha fornito un contributo di 105 milioni di dollari per più di 800 siti in 135 Paesi o territori. Quest’anno non meno di 170 siti, che coprono un arco di tempo dalla preistoria al XX secolo, sono stati candidati al programma 2018. Ne sono stati selezionati 25, ripartiti su 30 Paesi.
Lifta è stato scelto perché «i resti del villaggio palestinese nei sobborghi di Gerusalemme sono minacciati da un piano di sviluppo che si scontra con un’opposizione popolare», spiega sul suo sito l’ong, che vuole risvegliare le coscienze e creare pressioni a livello internazionale. Un progetto immobiliare israeliano, vecchio di 20 anni e che comprende la costruzione di appartamenti di lusso, negozi e un hotel, torna regolarmente a galla. Se per il momento è sospeso, per ragioni di natura archeologica, è ancora ufficialmente sostenuto dalla municipalità di Gerusalemme. E, poiché i suoi promotori continuano a chiederne l’approvazione da parte delle autorità locali, «il World Monuments Watch 2018 chiede il rigetto del piano di ristrutturazione e la protezione di Lifta in quanto nucleo di patrimonio culturale, ricreativo e di memoria, utile a tutti i cittadini di Gerusalemme». Il piano di ristrutturazione, infatti, contribuirebbe a negare (e quindi far dimenticare) la storia di questo villaggio tradizionale, basato sull’agricoltura e sulle fonti d’acqua locali, e abitato sin dall’antichità.
Attorno a una piscina naturale scavata nella roccia si aggregano 75 case in rovina, a 650 metri sul livello del mare. Testimonianza di un raro esempio di architettura rurale palestinese. Le case, solitarie e silenziose, sono in stato di degrado avanzato e rischiano, ogni giorno che passa, di crollare. Lifta, che in arabo significa «colore della primavera» si estende su una terrazza al di sotto dell’autostrada che da Gerusalemme conduce a Tel Aviv, in una posizione strategica durante la guerra arabo-israeliana. Nel 1948, al momento della creazione dello Stato d’Israele, i suoi abitanti dovettero abbandonare il villaggio. Non hanno mai più avuto il permesso di ritornarvi e neppure i loro discendenti. Lifta è perciò divenuto luogo simbolo della nakba, la «catastrofe» che indussse almeno 750 mila palestinesi a lasciare il suolo di Israele dopo la dichiarazione d’indipendenza. Più di 400 altri villaggi, a quell’epoca e in seguito, sono stati confiscati dallo Stato ebraico e rasi al suolo. Lifta è sopravvissuto, ma resta vuoto. Tra il 1948 e il 1953, l’Agenzia nazionale ebraica vi installò delle famiglie ebree provenienti dallo Yemen e dal Kurdistan iracheno, ma il villaggio oggi è disabitato.
Nella Bibbia, Lifta è citata con il nome di Neftòach (Giosué 15, 8-9) e si parla già della sua fonte. Il villaggio è regolarmente visitato da gruppi religiosi ebrei, ma anche da residenti della zona che vengono per bagnarsi nella piscina o per passeggiare. Ora Lifta potrà finalmente beneficiare dell’esperienza e del supporto finanziario del Wmf, approfittando di una vetrina privilegiata a livello planetario. Il Wmf, infatti, cerca di mobilitare a sostegno della causa anche altri mecenati in tutto il mondo. Il suo amministratore delegato, Joshua David, spiega infatti che «creando una coalizione internazionale il World Monuments Watch protegge sia i siti che il patrimonio storico comune che incarnano». E aggiunge: «Forse siamo conosciuti per l’eccellenza delle nostre pratiche di conservazione, ma sono le conseguenze umane del nostro lavoro a starci davvero a cuore. Siti come i 25 che figurano nel Watch 2018 sono luoghi dove noi ci riconosciamo come cittadini del mondo e nei quali rinnoviamo il nostro impegno verso la giustizia, la cultura, la pace e la comprensione».
Lifta è stata scelta perché «i resti del villaggio palestinese a Gerusalemme sono minacciati da un piano di sviluppo che si scontra con un’opposizione popolare», spiega sul suo sito l’ong, che vuole risvegliare le coscienze e mettere pressione sul piano internazionale. Infatti, un progetto immobiliare israeliano, vecchio di 20 anni e che comprende la costruzione di appartamenti di lusso, negozi e un hotel, torna regolarmente a galla. Se per adesso è sospeso, per ragioni archeologiche, è ancora ufficialmente sostenuto dalla municipalità di Gerusalemme. E, poiché i suoi promotori continuano a chiederne l’approvazione da parte delle autorità locali, «il World Monuments Watch 2018 richiama al rifiuto del piano di ristrutturazione e alla protezione di Lifta in quanto centro di patrimonio culturale, ricreativo e di memoria, utile a tutti i cittadini di Gerusalemme». Il piano di ristrutturazione, infatti, parteciperebbe a negare (e quindi far dimenticare) la storia di questo villaggio tradizionale basato sull’agricoltura e sulle fonti d’acqua locali, che sarebbe stato abitato sin dall’antichità.
Attorno a una piscina naturale scavata nella roccia si aggregano 75 case in rovina, a 650 metri sul livello del mare. Testimoniano un raro esempio di architettura rurale palestinese. Le case, solitarie e silenziose, sono in stato di degrado avanzato e rischiano, ogni giorno che passa, di crollare. Lifta, che in arabo significa «colore della primavera» si estende su una terrazza al di sotto dell’autostrada che da Gerusalemme conduce a Tel Aviv, in una posizione strategica durante la guerra arabo-israeliana. Nel 1948, al momento della creazione dello Stato d’Israele, i suoi abitanti hanno dovuto abbandonare il villaggio e non hanno mai avuto il permesso di ritornarvi e reinstallarvisi, così come i loro discendenti. Lifta è perciò divenuta il simbolo della nakba, la «catastrofe» per cui più di 750 mila Palestinesi hanno dovuto lasciare Israele dopo la dichiarazione d’indipendenza. Più di 400 altri villaggi, a quell’epoca e in seguito, sono stati confiscati dal novello Stato e rasi al suolo. Lifta è l’unico sopravvissuto, ma non è mai stato ripopolato. Tra il 1948 e il 1953, Agenzia nazionale ebraica vi ha installato delle famiglie ebree provenienti dallo Yemen e dal Kurdistan iracheno, ma il villaggio oggi è disabitato.
Nella Bibbia, Lifta è citata con il nome di Neftoa (Giosué 15, 8-9) e si parla già della sua fonte. Il villaggio è regolarmente visitato da gruppi religiosi ebrei, ma anche da residenti della zona che vengono per bagnarsi nella piscina o per passeggiare. Ora Lifta potrà finalmente beneficiare dell’esperienza e del supporto finanziario del Wmf, approfittando di una vetrina privilegiata di livello planetario. Il Wmf, infatti, cerca per vocazione di mobilitare a sostegno della causa anche altri mecenati in tutto il mondo. L’amministratore delegato del Wmf, Joshua David, spiega infatti che «creando una coalizione internazionale il World Monuments Watch protegge sia i siti che il patrimonio storico comune che incarnano». E aggiunge: «Forse siamo conosciuti per l’eccellenza delle nostre pratiche di conservazione, ma sono le conseguenze umane del nostro lavoro a starci davvero a cuore. Siti come i 25 che figurano nel Watch 2018 sono dei luoghi dove noi ci riconosciamo come cittadini del mondo e nei quali rinnoviamo il nostro impegno verso la giustizia, la cultura, la pace e la comprensione».