Proseguono in vari Paesi le commemorazioni della Grande Guerra, la prima guerra mondiale (1914-1918), quella «strage inutile» che devastò l’Europa, distruggendo pure quel prototipo di «comunità europea» che avrebbe potuto essere l’Impero austro-ungarico, patria dei miei antenati. Ma proprio quest’anno ricorre anche il centenario della liberazione di Gerusalemme dal dominio del Califfato ottomano, durato quattro secoli. Fu l’11 dicembre 1917, a mezzogiorno, che il britannico generale sir Edmund Allenby (in seguito feldmaresciallo e visconte) fece il suo ingresso in Gerusalemme, dalla porta di Giaffa. Il generale Allenby, credente cristiano, volle smontare da cavallo ed entrare nella Città Santa a piedi, da pellegrino. Tra il suo seguito vi erano anche addetti militari italiani. L’evento ebbe grandissima risonanza nel mondo cristiano. In tanti, a giudicare dalla stampa dell’epoca, erano in estasi. Veniva visto come compimento delle plurisecolari attese di recuperare la Terra Santa per la cristianità; una nuova crociata vittoriosa. Ma i tempi non erano più quelli. La Gran Bretagna neppure teneva la Terra Santa come colonia, ma ne voleva essere soltanto fiduciaria, con il compito di comporre i molteplici conflitti locali, etnici e religiosi, per preparare il Paese per un futuro più consono ai valori della nuova era. Ahimè, ciò non veniva pienamente realizzato. Così si commemora quest’anno anche il settantesimo anniversario della Risoluzione 181 (II) adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu il 29 novembre 1947. Un vero capolavoro della diplomazia mondiale, realizzato con il significativo apporto di più Paesi cattolici, e seguito attentamente dalla Santa Sede, questa Risoluzione adottò per la Terra Santa un Piano geniale, leale, e ben più confacente ai tempi nuovi che il sogno, in tal data oramai da tempo tramontato, di un nuovo regno crociato.
Il Piano prevedeva la creazione di due Stati – uno ebraico, l’altro arabo – economicamente uniti, e di un’amministrazione internazionale per Gerusalemme e dintorni. Vi venivano dettate norme dettagliate per assicurare l’eguale cittadinanza degli arabi nello Stato ebraico e degli ebrei nello Stato arabo, e dei cristiani in entrambi, nonché gli eguali diritti e libertà di tutti nel corpus separatum della Città di Gerusalemme e dintorni. Fu un nobile compromesso, non il «minor male», ma un gran bene per tutte le parti, nazionali e religiose, provvedendo al progresso e alla prosperità delle comunità e dei singoli. Tragicamente vi seguirono invece sanguinosi combattimenti e distruzioni, con esito ben diverso rispetto a quello programmato. Il conflitto si concluse solo provvisoriamente nel 1949, con accordi di armistizio, che non potevano poi evitare altre guerre, che tristemente da allora si sono susseguite. Infine, quest’anno è anche il cinquantesimo anniversario della Guerra arabo-israeliana del 1967, sfociata nell’attuale situazione del Paese, che da allora, di nuovo, è in attesa della pace. La pace – mi ha detto un ateo – si vede sì all’orizzonte; solo che l’orizzonte, per definizione, più ci si avvicina, più si allontana. Non così deve dire il cristiano, che deve credere ciò che spera.
In questa sequenza di anniversari (a cento anni e settant’anni di distanza da momenti di entusiasmo e speranza; a cinquant’anni da un conflitto le cui conseguenze rimangono gravi) la bimillenaria Chiesa in Terra Santa, forte della solidarietà dei cristiani di tutto il mondo, continua perseverante «tra le tribolazioni del mondo e le consolazioni di Dio».
Terrasanta 5/2017
Il sommario dei temi toccati nel numero di settembre-ottobre 2017 di Terrasanta su carta. Tutti i contenuti, dalla prima all’ultima pagina, ordinati per sezioni. Buona lettura!
In cerca di futuro
Stavolta parliamo di giovani, e in particolare di giovani siriani, e del futuro che si aspettano, in Medio Oriente o altrove.
Terra Santa, i capi delle Chiese per lo Status quo
È un momento delicato nei rapporti tra le autorità israeliane e i capi delle Chiese di Terra Santa. Ma anche all'interno della comunità greco-ortodossa c'è maretta...