Quando si è più realisti del re... Il 19 settembre scorso l'interprete che alla tivù di Stato iraniana traduceva in diretta il discorso di Trump all'Onu ne ha edulcorato alquanto i toni. Pioggia di critiche.
È un episodietto a margine della Storia ma è divertente e porta una sua morale, quindi val la pena di prenderne nota. Riguarda il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il suo clamoroso discorso del 19 settembre alle Nazioni Unite e uno sconosciuto interprete iraniano, Nima Chitsaz, incaricato di tradurlo in diretta per l’emittente di Stato Irib (Islamic Republic of Iran Broadcasting).
Com’è noto, Trump ne ha dette di tutti i colori sulla Corea del Nord (minacciata di distruzione totale in caso di attacco contro gli Usa e i loro alleati) e sull’Iran e il povero Nima si è trovato a dover ripetere quelle che alle sue orecchie, ha spiegato poi, suonavano come vere ingiurie ai danni della Patria. Così ha tradotto non molto alla lettera, edulcorando l’offensiva politica e verbale del presidente Usa.
Ecco qualche esempio. Quanto Trump ha detto che l’Iran «è uno Stato canaglia in fallimento, le cui principali esportazioni sono violenza, sterminio e caos», Nima ha detto che secondo Trump «l’Iran ripete di voler distruggere Israele». Quando The Donald ha detto che «a parte il grande potere militare degli Usa, ciò che i leader iraniani temono di più è il loro stesso popolo», Nima ha cortesemente riferito che «l’esercito americano è molto forte ma anche il popolo iraniano lo è». E quando il milionario diventato presidente ha sonoramente accusato i dirigenti iraniani, davanti all’assemblea generale dell’Onu, «di bloccare l’accesso a Internet, distruggere le antenne satellitari, sparare sugli studenti disarmati e mettere in galera i riformatori politici», il timido interprete ha tradotto così: «Avvengono in Iran molto incidenti inaccettabili per gli Stati Uniti».
Quel che è successo dopo è ancor più divertente. Perché Nima Chitsaz è stato criticato, sbeffeggiato e umiliato su tutti i social frequentati dagli iraniani, che l’hanno bersagliato per il miele sparso sul discorso di Trump. Gli iraniani, insomma, volevano sapere che cosa aveva in testa il presidente americano, senza filtri o abbellimenti.
Non sono sicuro che americani ed europei avrebbero chiesto altrettanto per un discorso del presidente iraniano Rouhani. In Iran, comunque, di mezzo ci è andato il traduttore che non traduceva perché traducendo aveva paura di insultare il proprio Paese. E che adesso rischia il posto, perché la figura non è stata eccelsa. Né per lui né per i dirigenti (in Iran la televisione è tutta pubblica, essendo vietata quella privata), che magari non c’entrano nulla ma vallo a dimostrare.
Perché Babylon
Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.
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Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com