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Onu, il presidente palestinese denuncia l’apartheid

Christophe Lafontaine
22 settembre 2017
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Onu, il presidente palestinese denuncia l’apartheid
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas alla tribuna dell'Onu a New York, il 20 settembre 2017 (foto Amir Levy/Flash90)

Il 20 settembre 2017, davanti all’Onu, Mahmoud Abbas ha chiesto che l'Onu si adoperi perché sia posta fine all'occupazione israeliana dei Territori.


«Noi e voi abbiamo la responsabilità di mettere fine all’apartheid in Palestina». Ha parlare così, il 20 settembre scorso, è Mahmoud Abbas dal podio della 72.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, apertasi a New York il giorno prima. Secondo il presidente palestinese questa situazione di apartheid minaccia la soluzione dei due Stati per due popoli, con la creazione di uno Stato palestinese accanto a Israele.

Abbas ha preso la parola il giorno dopo l’intervento del premier israeliano Benjamin Netanyahu e ha chiesto ancora una volta che si metta fine all’espansione degli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi. Il presidente ha anche detto che Netanyahu ha rifiutato la proposta palestinese di rilanciare il processo di pace. «Non c’è più spazio per uno Stato palestinese e ciò è inaccettabile». È per questo che nei 45 minuti di discorso, il capo dell’Autorità nazionale palestinese ha invitato l’Onu a prolungare i suoi sforzi «per mettere fine all’occupazione israeliana dello Stato di Palestina entro un termine di tempo stabilito».

Per il presidente degli Stati Uniti un accordo di pace israelo-palestinese è «possibile». Dopo aver assicurato che la sua amministrazione è implicata in nuovi sforzi per rilanciare i negoziati, Donald Trump – a margine dell’Assemblea generale – ha riconosciuto che la pace tra israeliani e palestinesi potrebbe essere «il più difficile tra tutti» gli accordi che gli è capitato di negoziare. Dall’insediamento di Trump, nel gennaio scorso, ad oggi c’è stata una ventina di incontri tra la delegazione palestinese e gli emissari di Washington, eppure il tema del conflitto in Terra Santa non è stato menzionato nel discorso del capo della Casa Bianca al Palazzo di Vetro. I dirigenti palestinesi nascondono sempre meno la loro frustrazione nei confronti dell’amministrazione Trump, che fin qui non ha sostenuto apertamente la soluzione dei due Stati. Ciononostante Mahmoud Abbas incontrando Trump a margine dei lavori dell’Assemblea generale lo ha ringraziato per la sua «serietà nel giungere all’accordo del secolo in Medio Oriente quest’anno o nei mesi a venire, se Dio vuole».

In un rapporto pubblicato martedì 12 settembre dalla Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (Unctad) ha chiamato la comunità internazionale ad aiutare il popolo palestinese «a resistere alle gravi difficoltà» create da quella che l’istituzione internazionale definisce «la più lunga (occupazione) della storia recente». Un’occupazione che ha serie conseguenze: «l’economia palestinese regredisce e la popolazione si impoverisce». Dati recenti dimostrano che le prestazioni dell’economia palestinese «sono assai inferiori alle sue potenzialità» e che la disoccupazione s’è mantenuta a livelli raramente osservati a livello planetario dai tempi della Grande depressione, sottolinea l’Unctad. La situazione è particolarmente dolorosa nella Striscia di Gaza, dove il pil per abitante è diminuito del 23 per cento dal 1995.

«L’occupazione israeliana ha asfissiato i settori agricolo e industriale», rileva l’Unctad precisando che in agricoltura la produzione si è ridotta dell’11 per cento nel 2016, mentre il contributo del comparto al pil si è ridotto al 2,9 per cento (era al 3,4 nel 2015). Nel 2017, rileva l’Unctad, Israele ha intensificato la costruzione di insediamenti. Nel 2016 la costruzione di nuovi alloggi nelle colonie è stata superiore del 40 per cento rispetto all’anno prima. Il numero dei coloni è più che raddoppiato dal 1995 ad oggi. Si calcola che siano tra le 600 mila e le 750 mila persone.

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