Il nome Nassiriya riporta gli italiani al 12 novembre 2003, quando un attentato suicida provocò 50 morti, dei quali 25 italiani, presso la base dei Carabinieri, nel centro della città. La tragedia si ripete.
Quando sentiamo parlare di Nassiriya noi italiani non possiamo fare a meno di pensare al maledetto 12 novembre del 2003, quando un attentato suicida provocò 50 morti, dei quali 25 italiani, presso la base dei Carabinieri, nel centro della città. Tra i tanti italiani che si commuovono al pensiero c’è anche il sottoscritto, che in quella base era rimasto per diverso tempo, venendone via solo tre giorni prima della strage e avendo visto di persona l’impegno e la generosità di molti di quei nostri soldati.
A distanza di tanti anni Nassirya, situata nel Sud dell’Iraq a pochi chilometri dai luoghi da cui il padre Abramo partì verso la Terra Promessa, è tornata a fare notizia ma per la stessa ragione. Giusto ieri un’altra strage, questa volta con un centinaio di morti, per un attentato dell’Isis che ha preso di mira soprattutto i convogli di pellegrini sciiti provenienti dall’Iran, che in quella città fanno tappa prima di proseguire il viaggio verso il nord e i grandi centri religiosi dello sciismo, le città sante di Najaf (dove studiò anche l’ayatollah Khomeini) e Kerbala, dove il 10 ottobre del 680 Hussein, figlio di Alì e nipote di Maometto, fu massacrato con i familiari dalle truppe fedeli al califfo Muawiya, nell’evento che aprì ufficialmente lo scisma tra le due anime dell’islam, sciiti e sunniti appunto.
Al di là delle memorie storiche, la strage dei giorni scorsi ci dice che dobbiamo attenderci una lunga stagione di paura e di morti. La sconfitta militare dell’Isis, ormai alle porte, non implica né la sua sparizione né la sua inerzia. Anche Al Qaeda fu sconfitta militarmente dagli americani e dalla “coalizione dei volonterosi” ma per anni e anni l’Iraq fu sconvolto da una serie di attentati che pareva non finire mai. Tra il 2003 e il 2008 furono uccisi circa 120 mila civili, secondo Iraq Body Count, il che rende pienamente l’idea del carnaio che fu il Paese dopo la “sconfitta” di Al Qaeda. L’Isis non è Al Qaeda, ha strutture e finalità diverse, ma resta temibile e non esiterà a colpire.
L’altra considerazione nasce dal fatto che siano stati i pellegrini sciiti, in particolare iraniani, ad essere colpiti. Non è certo la prima volta e spesso, nel recente passato, in Iraq gli attentati politici si sono colorati di intolleranza religiosa. Mi pare un segnale dell’incapacità del mondo sunnita ad affrontare la rimonta sciita contemporanea. Dopo quattordici secoli di emarginazione e a volte persecuzione, gli sciiti hanno rialzato la testa negli ultimi cinquant’anni, dalla presa di potere degli Assad (alawiti sciiti) in Siria (1971) e dalla rivoluzione khomeinista in Iran (1979). La risposta sunnita è stata prima di stupore e poi di disperazione violenta. Nessuna azione politica, men che meno un dialogo religioso. E anche questo non fa ben sperare.
Perché Babylon
Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.
—
Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com