(g.m.) – Quando lo Stato islamico (Isis) ha preso il controllo di Mosul, nel giugno del 2014, non ha perso l’occasione di aggiungere anche questo alla sua lista di crimini contro l’arte e la cultura: ha occupato l’Università e ha dato fuoco ai libri “blasfemi” della sua biblioteca. Tranne che a quelli di chimica, forse blasfemi anch’essi, ma ancora utili per fabbricare esplosivi.
L’Università di Mosul era uno dei più grandi centri di istruzione e ricerca del Medio Oriente e il secondo dell’Iraq, con più di 30 mila studenti iscritti nelle sue facoltà di Medicina, Architettura, Ingegneria, Lettere. La sua biblioteca custodiva quasi un milione di volumi su ogni disciplina e in diverse lingue, insieme a mappe storiche, periodici, pubblicazioni d’epoca ottomana e antichi manoscritti arabi, tra cui un prezioso Corano del IX secolo. La maggior parte di questo materiale è ridotta in cenere; di alcuni dei pezzi più rari si sono perse le tracce quando sono stati venduti al mercato nero dai miliziani dell’Isis. Questi ultimi, dopo aver occupato Mosul, hanno utilizzato gli edifici dell’Università come base operativa. Nei laboratori dove i ricercatori studiavano medicina, i guerriglieri hanno fabbricato ordigni esplosivi, alcuni dei quali sono stai poi nascosti per la città, tra le macerie, o all’interno dell’Università stessa. Ora, prima di poter accedere alle strutture, bisogna aspettare che gli sminatori le dichiarino sicure. Ma c’è qualcuno che, nelle aree bonificate del campus, è già al lavoro.
Sono ex-liceali che non hanno mai potuto iscriversi, studenti che non hanno fatto in tempo a laurearsi o professori e ricercatori che in quell’Università lavoravano ogni giorno. Tutti trasformati in carpentieri e operai per rimettere in sesto gli edifici dell’Università che, in quanto base dell’Isis, non è stata risparmiata dalle bombe della coalizione internazionale. L’obiettivo di questo movimento di volontari è quello di rimettere in funzione la macchina accademica, per poter riprendere il prima possibile esami e lezioni, che durante l’occupazione dell’Isis sono andati avanti a fatica fuori dalla città, come ha raccontato il rettore dell’Università, Obay al-Dewachi, al New Yorker. Lo staff, esiliato dal campus, a Kirkuk e Dohuk ha insegnato nei motel. Ora è tornato alla sua università e si impegna per ricostruirla pur con tutte le difficoltà lasciate dalla battaglia di Mosul: carenza di energia elettrica, nessun servizio, infrastrutture distrutte. In un video pubblicato dal Los Angeles Times i volontari, con la mascherina sul volto, gettano i mobili distrutti dalle finestre, puliscono i corridoi, rimuovono detriti e macerie, portano via gli strumenti rovinati. Un lavoro lungo e difficile, che però non è sufficiente a far ripartire un’istituzione accademica.
Oltre alle strutture del campus, all’università serviranno computer, scrivanie, apparecchi da laboratorio, ma soprattutto libri. Per sopperire a questa mancanza si è mobilitato un membro del corpo docenti. Già dal 2015, sotto la protezione dell’anonimato che garantisce sicurezza alla sua famiglia, gestisce un blog che ha raccontato la vita della città sotto la dominazione dell’Isis. Il suo pseudonimo è Mosul Eye, si definisce uno storico e, in un’intervista a BuzzFeed News, ha rivelato di essere stato un assiduo frequentatore della biblioteca dell’Università, dove insegnava. Non appena la città è stata dichiarata libera dall’Isis, Mosul Eye ha mobilitato i volontari della città per andare a rovistare tra le rovine della biblioteca. Sono riusciti a recuperare solo 2.000 libri scampati alle fiamme, tra i quali anche alcuni manoscritti rari. Subito dopo, il blogger ha lanciato sul suo sito una campagna per ricevere donazioni di volumi. Che hanno cominciato ad arrivare prima da Baghdad, poi dall’Europa e infine dagli Stati Uniti. Anche l’Italia ha risposto alla chiamata, attraverso la campagna Un libro sospeso per Mosul. Le associazioni e i privati che sostengono l’iniziativa di Mosul Eye organizzano collette di libri e contattano le università per avere testi specialistici, i quali vengono poi spediti nei centri di raccolta in attesa di arrivare a Mosul. La principale difficoltà resta questa: far giungere a destinazione i container che trasportano tonnellate di libri. Dal porto di Bassora fino alla biblioteca è un viaggio di oltre 900 chilometri, in un Paese duramente provato da guerre, corruzione, inefficienza.
Finora sono stati raccolti oltre 10 mila libri. L’obiettivo di Mosul Eye è di riaprire la biblioteca universitaria avendone 200 mila. Ma, oltre a rimettere in carreggiata un’istituzione accademica, il progetto avrà anche un risvolto a lungo termine sul livello sociale. «Penso che sia moralmente giusto dare alle persone i mezzi per l’istruzione» ha detto alla rivista Share America James Gulliksen, studente di legge che dalla Florida ha raccolto per Mosul oltre seimila titoli, «Credo anche che sia la cosa più intelligente da fare, perché porta a una diminuzione della radicalizzazione. Le ricerche dimostrano che essa nasce da analfabetismo, divisioni nella comunità, mancanza di coesione sociale».
E cosa c’è di meglio, per rafforzare i legami sociali, che una festa? Ideato sempre da Mosul Eye, il festival culturale dal titolo A book from within the ashes (Un libro dalle ceneri) si è svolto il 25 maggio scorso davanti allo scheletro annerito della biblioteca. Mentre a pochi chilometri di distanza l’esercito iracheno era ancora impegnato contro i miliziani del gruppo terroristico, alcuni studenti hanno suonato i loro strumenti, qualcuno dipingeva, altri recitavano poesie, altri ancora hanno appeso a un filo fotografie della vita di tutti i giorni nella Mosul di prima della guerra. Il biglietto d’ingresso aveva un costo moderato: un libro per la biblioteca.