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Un modo diverso di vivere la Terra Santa

Gabriele Monaco
29 agosto 2017
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Dedicato a chi arriva a Gerusalemme a piedi, l'Ospitale dei Santi Chiara e Giacomo tira le somme del suo primo anno di sperimentazione.



Aperto a Gerusalemme nel settembre dello scorso anno, l’Ospitale dei santi Chiara e Giacomo sta per compiere un anno di vita. È dedicato esclusivamente all’accoglienza dei pellegrini che arrivano nella Città Santa a piedi, ed è nato dalla collaborazione tra le suore clarisse del monastero di Santa Chiara, che hanno messo a disposizione la loro foresteria, e la Confraternita di San Jacopo di Compostella. Quest’ultima, che ha sede a Perugia, già da tempo si dedica all’accoglienza dei pellegrini a piedi sul Cammino di Santiago e sulla Via Francigena.

Nel 2016 l’Ospitale è stato aperto nei mesi autunnali; quest’anno le sue porte si sono schiuse anche in primavera, tra aprile e maggio, e si riapriranno a breve fino alla fine di ottobre. Come avevamo raccontato in occasione della sua inaugurazione, questo luogo è nato come un esperimento per dare fiducia a un modo del tutto particolare di percorrere la Terra Santa, quello del pellegrinaggio a piedi. Abbiamo contattato di nuovo Monica D’Atti e Maurizio Ciocchetti, membri della Confraternita di San Jacopo coinvolti nell’accoglienza dei pellegrini, per sapere come sta proseguendo la vita dell’Ospitale.

«Prima di parlare di numeri e risultati crediamo sia necessario fare alcune considerazioni» ci raccontano. «Il pellegrinaggio a piedi in Terra Santa, anche se alcune vie sono già percorse da qualche anno e quindi operative sotto tutti i punti di vista, è praticamente sconosciuto ai più. Questo non vuol dire che non ci sia chi lo intraprende, ma sappiamo per certo che gran parte di coloro che arrivano lo fanno nei periodi in cui l’Ospitale non è aperto, perciò stiamo cercando di capire quando la nostra presenza può essere più incisiva. L’anno scorso abbiamo accolto comunque 9 pellegrini, in gran parte anziani, persone con una grande esperienza di cammini. La sorpresa è stata l’ultimo arrivato, un ragazzo di 24 anni che ha percorso la via di Acri da solo e che al suo arrivo ha sorpreso i presenti con quanto era riuscito a cogliere da questa esperienza. Quest’anno abbiamo aperto l’Ospitale anche per un mese dopo Pasqua. È un periodo alternativo che ci è stato concesso dalle Clarisse. Abbiamo accolto 4 pellegrini, ma nello stesso periodo ne sono arrivati altri che, purtroppo, non sapendo della nostra presenza, si sono recati altrove. Questo è l’aspetto negativo che abbiamo riscontrato nei primi mesi di lavoro a Gerusalemme: siamo abituati a prestare il nostro servizio in luoghi dove l’affluenza è costante, mentre qui ci manca. Riteniamo importante un impegno maggiore, da parte nostra, per diffondere le informazioni su questo pellegrinaggio».

I pellegrini che si fermano all’Ospitale sono persone che hanno scelto di vivere nella dimensione del viaggio a piedi, un cammino integralmente percorso con lo zaino in spalla. Niente pullman né treni, salvo imprevisti; solo 25 o 30 chilometri giornalieri per arrivare, tappa dopo tappa, a toccare i principali luoghi santi. Le vie principali sono due: si può partire da Acri, passare da Nazaret, poi per il Tabor e il lago di Tiberiade con tutte le sue soste, arrivando a Gerusalemme da Gerico. La seconda via, che parte da Giaffa, ha tappe importanti a Ramla, Latrun, Abu Ghosh, San Giovanni del Deserto, Ain Karem, Betlemme e si conclude anch’essa a Gerusalemme.

«La cosa positiva del pellegrinaggio a piedi e dell’Ospitale» continuano Monica e Maurizio «è che si sta a contatto diretto con le realtà e i luoghi che fanno di questa terra un luogo unico al mondo. Sia per chi cammina che per chi accoglie, è un’esperienza indimenticabile». Ma cosa significa per la Confraternita di San Jacopo, dopo le strutture lungo le vie per Santiago e Roma, il poter offrire questa accoglienza a Gerusalemme? «Crediamo che sia il punto più alto del nostro servizio. Siamo pellegrini e ospitalieri, dimensione inscindibile. Un vero pellegrino non potrà non essere anche ospitaliere. Ed essere ospitalieri a Gerusalemme è la cosa più bella e piena che si possa vivere, così come il pellegrinaggio a piedi in Terra Santa è il cammino più forte e pieno che si possa vivere. Una volta arrivati a Gerusalemme sui propri piedi, il tuo cuore rimane lì. Capisci che tutti gli altri cammini e pellegrinaggi che hai fatto erano solo la preparazione per arrivare alla meta più importante».

L’obiettivo dell’ospitale non è quello di fornire una mera accoglienza. Gli ospitalieri che si occupano dei pellegrini hanno vissuto, a loro volta, pellegrinaggi a piedi. Tra chi arriva e chi accoglie si instaura una relazione particolare. «Sicuramente in parte dipende dalla capacità e ricchezza del singolo ospitaliere. Ma ci sono tempi e modi, prefissati dalla Confraternita, che fanno parte del nostro modo di accogliere e che sicuramente fanno capire al pellegrino di essere arrivato in un luogo di servizio e di preghiera. Messaggio che passa attraverso i gesti, ma anche con la condivisione di piccoli momenti di riflessione. La nostra idea è anche quella di aiutare il pellegrino a vivere i luoghi dove si trova. Dove possiamo cerchiamo di indirizzarlo. Per esempio quasi tutti hanno avuto l’occasione, dietro nostro suggerimento, di vivere una notte in preghiera presso il Santo Sepolcro. Un altro gesto concreto è l’aiuto a ricevere il Testimonium presso la Custodia. Poi, quando e come riusciamo, li accompagniamo nei luoghi santi. Sono piccoli aspetti pratici che sono sempre benvenuti».

Come la Confraternita intende sviluppare l’esperienza dell’Ospitale a Gerusalemme, nei prossimi anni di sperimentazione? «Se sarà possibile vorremmo continuare con questo nostro piccolo servizio. Crediamo che sia una cosa che ha bisogno di tempo: ciò che viene sperimentato non sempre raggiunge un risultato rapidamente. E non è detto che solo perché il risultato non arriva subito, alla fine poi non ci sarà. Affidiamo tutto alla Provvidenza. Noi ci siamo e ci proviamo».

Chiediamo a Monica e Maurizio se, negli anni, la Confraternita intende alimentare una rete di accoglienza per i pellegrini in Terra Santa, simile a quella già presente sui cammini più consolidati come Santiago. «Non crediamo che avremo le forze per un obbiettivo del genere, anche se coltivare sogni non fa mai male. A volte si realizzano. Comunque per una cosa del genere sarebbe imprescindibile un rapporto con la Custodia di Terra Santa. Se la nostra competenza, sviluppata lungo tutti gli altri cammini, potrà risultare utile, altre cose potranno realizzarsi. Sicuramente ora i nodi veri sono far conoscere il cammino in Terra Santa, tranquillizzare i pellegrini preoccupati, convincere gli indecisi, aiutare chi cerca informazioni. Da anni ci impegniamo, ma notiamo che il timore è sotteso anche nel mondo di chi è già abituato al pellegrinaggio a piedi. Solo i più convinti, i più radicalmente pellegrini, partono e camminano. Se il movimento aumentasse considerevolmente allora il nostro servizio sarebbe utile e, crediamo, benvenuto anche in altri luoghi lungo la via».

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