Cinque anni fa, proprio il 31 agosto, chiudeva gli occhi sulla scena del mondo il cardinale Carlo Maria Martini. L’anniversario consente a molti di pensare a lui con gratitudine, a Milano (la diocesi che ha guidato per oltre 22 anni), a Gerusalemme (dove ha abitato per lunghi periodi) e in altre parti del mondo. Anche noi lo ricordiamo proponendo, di seguito, ai nostri lettori un brano del libro I verbi di Dio (Edizioni Terra Santa, 2017) che contiene una delle sue ultime predicazioni in Terra Santa. Lo stralcio è tratto dal capitolo «Dio libera» (pp. 75-79).
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Il Dio che libera è il Dio che può rompere ogni circostanza di legame, schiavitù e anche sfruttamento dell’uomo. È anche Colui che può sconvolgere gli ordinamenti della vita pubblica nocivi all’uomo e capaci di portare schiavitù. È Colui che può autorizzare nuove circostanze di dignità e di giustizia. Per questo la teologia della liberazione ha assunto molto da questa sorgente, da questa cava di pensieri. I verbi di liberazione rifiutano di accettare ogni circostanza di oppressione e di schiavitù e invitano a liberarsene. Credo che possiamo cogliere qui come questa azione di Dio sia anche un segnale per l’azione dell’uomo, indica verso dove l’uomo è chiamato a camminare, come l’uomo è chiamato a liberarsi. Questo pone naturalmente un problema conseguente, a cui ci dedicheremo nella prossima meditazione: come mai il Dio che libera è anche lo stesso Dio che comanda? I comandi di Dio sono concepibili insieme con questa azione liberante? Veniamo ora a tre domande.
1. Qual è la mia concezione del mondo e della storia? Ho veramente una concezione drammatica e conflittuale oppure una concezione lineare-evolutiva? La domanda sembra molto astratta, ma io ho trovato non poche comunità parrocchiali che avevano del loro sviluppo una concezione lineare, evolutiva. Per loro non c’era che continuare a fare come facevano o fare un po’ meglio. Di fatto qualche volta consideriamo le nostre comunità dal punto di vista di un certo sviluppo, che magari non c’è, oppure che consideriamo negativo. In realtà dobbiamo essere consapevoli che la vita oggi è un continuo combattere contro le tentazioni dell’incredulità, dello scetticismo, del relativismo, di tutte le forme di facilità, di comodità, di sensualità. E già così la vita cristiana si rafforza e diventa una vita coraggiosa, anche se non riesce a raggiungere un visibile perfezionamento; o meglio, il suo perfezionamento è dato anche da questa battaglia, da questa lotta. Anzi, il fatto stesso di vivere la fede e proclamare la fede in un mondo così contrario, così avverso, ricco di tentazioni e di negazioni, è già una vittoria. A questo forse dobbiamo pensare di più, perché altrimenti dimentichiamo un aspetto importante della vita quotidiana della gente, che è certamente molto soggetta a tentazioni contro la fede e contro la speranza. E non basta che continui a far bene. Bisogna che sia allenata a combattere, bisogna che sappia che questa vita è combattimento, sempre. Non viene mai meno. Naturalmente occorre vivere questa consapevolezza non nervosamente e con timore, ma con pace e con semplicità: questa è la difficoltà. Perché o si dimentica l’aspetto di lotta e ci si lascia andare a tutte le suggestioni del mondo; oppure si prende troppo sul serio, in maniera errata, e allora ci si pone con rigidità, non con scioltezza. È un aspetto importante. E ripeto la domanda dell’inizio, riformulandola così: ho una concezione evolutiva-lineare o conflittuale-drammatica della vita mia e delle mie comunità?
2. Mi sento liberato dalle mie colpe, dalle mie debolezze, dalle mie indegnità? Perché l’esperienza mostra che noi a parole diciamo di sì, ma in realtà è facile che ci sia qualcosa che non ci perdoniamo, che non riteniamo che il Signore ci abbia perdonato. Scavando, si trova in non poche esistenze questo senso di colpa misterioso, nascosto, che non crede al perdono di Dio, che non si perdona. Probabilmente c’è anche una forma di superbia; comunque non si accetta che il Signore possa liberarci e perdonarci intimamente. Devo dire che mi ha stupito più volte l’incontrare, anche in persone di una certa levatura spirituale, questi luoghi ciechi, questi scotòmi, nei quali non si riesce a perdonare sé stessi, pur vivendo una vita esteriormente serena e tranquilla.
3. Infine: credo che Dio possa liberare anche un altro, o una comunità, dalle sue cattive abitudini? Noi spesso siamo diventati un po’ scettici. Diciamo: quella persona è così, quella comunità è così, non c’è niente da fare. Mentre invece dobbiamo credere di più all’azione liberante di Dio. È vero che questa azione forse richiederà del tempo, della preghiera, ma io penso che se la madre di sant’Agostino non avesse insistito presso il Dio della liberazione, non ci sarebbe stato questo santo. È la fede nella potenza di Dio che spesso ci manca. Tante volte anche i pastori d’anime, anche vescovi, diventano un po’ scettici sul loro gregge. Dicono: è così, non c’è niente da fare, devo gestire il gestibile… Non hanno la certezza, la forza, la fiducia che Dio libera e compie cose prodigiose e grandi. Naturalmente non le compie così, senza che ci sia nessuna circostanza che le faciliti. Dobbiamo stare attenti a tali circostanze: una disgrazia, una malattia, una notizia che sconvolge, insomma qualcosa che fa cambiare e mostra che la persona è molto più sensibile, attenta e desiderosa di quanto non avessimo immaginato. Noi manchiamo spesso di fiducia nelle persone, oppure le classifichiamo con troppa facilità. L’ho riscontrato soprattutto in ambienti educativi, dove l’abitudine a ragionare secondo quadri psicologici fissava ciascuno là dov’era: questo è così, quello è così, per questo non c’è niente da fare… Bisogna invece avere la fiducia che qualcosa si può fare, che è possibile aiutare le persone e che Dio stesso le vuole aiutare perché facciano un salto di qualità nella loro vita, magari piccolo, però significativo. Ciò che importa quando si incontra una persona non è tanto di capire come può essere perfetta, ma qual è il piccolo passo che può fare adesso, perché se fa questo, poi ne farà un altro successivo. Occorre quindi una maggiore concretezza e una grande capacità di cogliere la verità della persona in ciò che essa vive. Chiediamo al Signore che ci dia una comprensione profonda della sua attività di liberatore.
card. Carlo Maria Martini