Lo sfondo del viaggio di Francesco in Egitto è la coeva quinta Crociata (1219-1220). Le fonti principali, assai diverse tra loro, sono le biografie scritte da Tommaso da Celano e san Bonaventura, i ricordi di frate Illuminato accompagnatore del Santo in Oriente, Giordano da Giano, Paolino da Venezia e altre opere francescane, Giacomo di Vitry vescovo di Acri, alcune cronache francesi (Estoire d’Eracles e Chronique d’Ernoul), il poeta anglonormanno Enrico di Avranches e una vaga testimonianza araba. Su un aspetto concordano tutti gli autori: con la propria combinazione di mansuetudine e determinazione, coraggio personale e rifiuto dell’intransigenza Francesco impressionò il sultano d’Egitto al-Kamil, che non si fece convertire ma lo trattò con riguardo e, dopo la comune constatazione del carattere ancora prematuro di un dialogo interreligioso, gli offrì un buon pranzo quasi a compensazione per i lussuosi doni che aveva invano presentato al Poverello.
Nel 1221, nella prima stesura della Regola dell’Ordine, Francesco raccomandò ai frati di recarsi fra i musulmani scegliendo fra una sottomessa testimonianza della propria fede, e una predicazione pubblica e tesa alla ricerca del martirio: le due opzioni venivano lasciate alla scelta del frate, certamente dopo una riflessione di Francesco sulla propria esperienza orientale da lui affrontata, almeno all’inizio, per trovare il martirio. Egli teneva conto della situazione generale, che non escludeva affatto un atteggiamento intransigente anche nella testimonianza disarmata; quindi è inutile cercare nelle sue parole e nei suoi atti una condanna della crociata in nome della pace universale, condanna che non poteva formulare in quanto egli sempre insistette sull’obbedienza alla Chiesa romana di quell’epoca, più che mai favorevole al bellum sacrum. I crociati erano comunemente equiparati ai martiri dalla religiosità popolare (più cauta su ciò la Chiesa ufficiale); Francesco voleva forse guadagnarsi il paradiso insieme a loro, ancorché disarmato, e magari anche con il pensiero rivolto ai propri primi esperimenti di cavaliere, lettore mai pentito di chansons de geste carolinge e romanzi arturiani, testi all’origine di un sogno giovanile di gloria guerriera da realizzare al servizio di Gualtiero di Brienne, crociato che papa Innocenzo III aveva dirottato sulle guerre d’Italia. In Egitto, Francesco si sentiva poi in ansia per la sorte dei crociati spagnoli, la cui sconfitta lo addolorò per l’affetto che lo legava a loro più che per un suo sogno pacifista.
Come che sia, Francesco e Illuminato furono strapazzati dalle sentinelle egiziane che li accolsero alle porte dell’accampamento egiziano, ma i due riuscirono a farsi ricevere dal sultano sebbene il cardinal legato Pelagio li avesse autorizzati di malavoglia a lasciare il campo cristiano di Damietta, sul delta del Nilo, respingendo qualsiasi propria responsabilità nel loro non improbabile scannamento in quanto infedeli; effettivamente alcuni cortigiani musulmani avrebbero invitato al-Kamil a far decapitare senz’altro indugio i due strani infedeli, ma invano; né al sultano può essere attribuito il famigerato editto che prometteva un premio a chiunque avesse portato alla sua corte una testa di cristiano.
Eccoci così nella tenda del sultano d’Egitto. Costui avrebbe realmente messo alla prova Francesco sfidandolo a camminare sulle croci ricamate su tappeti per indurlo a disprezzare i segni della sua fede? Lo avrebbe poi sfidato a legittimare le crociate, apparente violazione del messaggio evangelico (però! un sultano che conosceva il Vangelo…)? Infine, una volta colpito dalle parole di Francesco gli avrebbe davvero chiesto di pregare per lui e fargli conoscere la vera fede, abbracciata da al-Kamil non subito per cautela politica, bensì anni dopo in articulo mortis ma sempre grazie a quell’incontro del 1219?
Alcuni di questi riferimenti paiono aneddoti riconducibili agli usi del tempo, corroborati da oltre un secolo di crociate: infatti, provocazioni come quella dell’offesa alla croce richiamano quelle che i templari avrebbero simulato per preparare le reclute invitate – certamente con meno cortesia – a offendere il simbolo del cristianesimo in caso di cattura. Un’altra replica alla provocazione dei tappeti, quella secondo cui le croci calpestate da Francesco riproducevano quelle dei due ladroni e non quella di Cristo, appare più che altro un bon mot, una trovata edificante di quelle che la sterminata aneddotica dell’Ordine iniziò presto a produrre. Inoltre, la risposta di Francesco alla domanda sulla legittimità giuridica della «guerra santa» cristiana, difesa da Francesco in nome del principio evangelico dell’eliminazione di ciò che crea scandalo, pare riprendere un dibattito analogo tenutosi oltre un secolo prima durante l’assedio crociato di Cesarea.
Anche la sfida francescana al sultano, sfida costituita da una «prova del fuoco» come alternativa al dibattito per verificare in maniera estrema il valore delle due religioni, sarebbe stata una violazione del divieto di sfidare Dio, sebbene la fonte tramandi anche la scena di alcuni dottori della fede islamica cautamente sottrattisi alla prova suprema nel corso di una disputa dottrinaria di cui non sappiamo quasi nulla. Su di essa, a dire il vero, si diffonde il dotto poeta Enrico di Avranches, attento però alla creazione di un’immagine apologetica ed epica del Santo (pure quando ambienta in un combattimento fra crociati ed egiziani il suo passaggio nel campo islamico, raggiunto invece durante una tregua). In realtà, concesso il dovuto alla tradizione della letteratura controversistica ricalcata sulle vite dei primi martiri cristiani, secondo san Bonaventura il confronto tra le due fedi si tenne in un clima di rispetto se non addirittura di simpatia destata nel sultano dai due frati. Al-Kamil, poi, viene descritto come segretamente disposto a farsi battezzare, ma leggende di cripto-cristianesimo circolarono abbastanza presto anche a proposito di suo zio Saladino al quale somigliava tanto da essere chiamato pure dai nemici cristiani optimus princeps secondo la sua religione. Più probabile un dibattito fra il Santo e i saggi dell’Islam, conclusosi senza alcuna conversione ma esemplare per la sua civiltà (previo rifiuto da parte di al-Kamil di far decapitare i due visitatori); mentre va rigettato il tentativo moderno di cercare nella discussione il seme di un’improbabile convergenza delle due fedi. Non meno utopistica la speranza di una conversione generale di tutto l’Oriente, utopia che nei primi decenni del Duecento si coniugava con le voci di un imminente scontro finale tra le forze del Bene e quelle dell’Anticristo (una deformazione delle voci che erano iniziate a circolare a proposito di Gengis Khan che si avvicinava da est in quegli stessi anni). Più incerta la concessione di un lasciapassare che avrebbe consentito a Francesco di predicare liberamente e di visitare i Luoghi Santi: il Papa aveva vietato di effettuare pellegrinaggi in una Gerusalemme da oltre trent’anni tornata all’Islam, ma il permesso attribuito ad al-Kamil dopo avere ascoltato Francesco «con la massima attenzione» avrebbe esonerato il Poverello dalla tassa imposta ai pellegrini, un imbarazzante finanziamento del sultanato; così dicono autori come Angelo Clareno, ma forse Francesco non avrebbe potuto accettare un privilegio (del resto, una volta ottenuto dal Papa l’unico permesso che gli interessava, ossia quello di dare vita al proprio movimento, raccomandò di non chiedere alcunché alla stessa Chiesa). Al-Kamil, inoltre, poteva pensare che la predicazione di quel cristiano così diverso da molti altri potesse scompigliare il suo regno, sebbene forse tale effetto sia stato ridimensionato dalla critica storica: in realtà, le conversioni al cristianesimo furono sempre poca cosa nell’Oriente dei crociati, e boicottate dalle stesse istituzioni crociate che non avrebbero potuto ridurre allo stato servile uomini fattisi loro correligionari.
Cosa rimane di queste informazioni che generazioni di studiosi hanno passato ai raggi X, non sempre senza forzature? Francesco tornò in Occidente con un’idea nuova di martirio: meno teso alla ricerca della morte per mano «infedele» e più pronto al sacrificio quotidiano di sé, per continuare la propria testimonianza non esclusivamente legata al versamento del sangue. L’imposizione delle stimmate sulle sue carni avrebbe sancito un’imitazione di Cristo raggiunta senza esporsi alle armi terrene.
Terrasanta 4/2017
Il numero di luglio-agosto 2017 di Terrasanta su carta è del tutto speciale: interamente dedicato agli 800 anni di presenza francescana in Terra Santa. Buona lettura!
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