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Dopo la liberazione, anche a Mosul l’insidia delle mine

Terrasanta.net
27 luglio 2017
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Dopo la liberazione, anche a Mosul l’insidia delle mine
La bandiera irachena svetta sui resti di un edificio di Mosul.

A Mosul e dintorni si replica la barbarie. Prima di fuggire e darsi per vinte le masnade dello Stato islamico hanno sparso trappole esplosive ovunque. Che da ottobre ad oggi hanno ucciso o mutilato 1.700 persone.


(g.s.) – La pratica è tragicamente nota. E si replica a Mosul e dintorni. Negli edifici rimasti in piedi dopo una campagna militare durata nove mesi per strappare quella porzione di territorio alle masnade del sedicente Stato islamico gli uomini del Califfo nero hanno disseminato ovunque trappole esplosive insidiosissime.

Gli ordigni, più o meno artigianali, sono in agguato in case, scuole, chiese, moschee e vie cittadine dei quartieri occidentali di Mosul, come pure in molti villaggi della Piana di Ninive (nella regione del Kurdistan iracheno). Non mancano i cunicoli sotterranei imbottiti di esplosivi.

Lo riferisce il quotidiano The Jordan Times che riporta anche la testimonianza – raccolta dalla Reuters – di Craig McInally, dell’Ong Norwegian People’s Aid, secondo il quale «ci sono chilometri e chilometri di ordigni attivi, in grado di scoppiare al semplice tocco di un bambino e, a volte, tanto potenti da far saltare in aria un camion».

A partire dall’ottobre scorso via via che le aree venivano liberate iniziava anche l’opera di sminamento, ma ciò non ha impedito che 1.700 persone – secondo le stime del Servizio di azione anti-mine delle Nazioni Unite (Unmas) – siano rimaste gravemente ferite o uccise.

Particolarmente insidiose sono le trappole esplosive piazzate nelle abitazioni: i congegni molte volte sono stati nascosti in oggetti di uso comune ed elettrodomestici (frigoriferi, televisori, stufe elettriche) che scoppiano non appena li si apre o li si accende. A volte gli ordigni sono collegati tra loro e basta un solo contatto elettrico – come il premere un interruttore della luce – per generare un’esplosione a catena.

La posa di queste mine testimonia, a volte, una ferocia spregiudicata e senza scrupoli: a Falluja, ad esempio, alcuni ordigni erano stati posti sotto l’assito del pavimento di una classe scolastica, pronte a dilaniare i corpi degli ignari studenti che fossero rientrati tra i banchi. Fortunatamente la trappola è stata scoperta in tempo e disattivata. L’esempio spiega bene la necessità di tenere alta la guardia e procedere con i piedi di piombo nella bonifica delle aree “liberate” ma tuttora dense di insidie.

Tutto ciò rallenta, e rende più costoso in termini umani ed economici, il ritorno alla normalità per la popolazione civile e le autorità deputate a garantirne la sicurezza.

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