Dall’11 al 15 giugno s'è svolta in Israele la Fiera del libro di Gerusalemme. Tra gli autori invitati anche l'italiano Eraldo Affinati, che ha parlato al pubblico di don Lorenzo Milani, insieme con Elena Loewenthal.
Presentazioni di libri, letture, seminari e dibattiti: dall’esperienza di scrivere in una terra straniera, all’incontro su «scrittura e sopravvivenza» per rispondere alla domanda spinosa: si riesce a vivere del proprio lavoro di narratori? La Fiera internazionale del libro di Gerusalemme è tornata. E in questa edizione anche con il prestigioso Jerusalem Prize, assegnato ogni due anni a un autore che esprime al meglio «l’idea di libertà individuale all’interno della società». Il vincitore scelto dalla giuria per il 2017 è lo scrittore norvegese Karl Ove Knausgård, autore della saga La mia battaglia.
Dall’11 al 15 giugno la Fiera ha accolto addetti ai lavori e pubblico da mattina a sera. In agenda incontri in sette lingue (oltre ad ebraico e arabo anche russo, inglese, francese, tedesco e italiano) per parlare degli argomenti più diversi: dal dibattito con gli autori israeliani di origine russa al laboratorio di scrittura dedicato alla sindrome di Gerusalemme il cui titolo era: Scrivere di Gerusalemme e restare sani di mente. Per esempio Yuval Noah Harari, storico e professore dell’Università ebraica di Gerusalemme, autore del best seller Sapiens: Da animali a dei, breve storia dell’umanità ha partecipato all’incontro sulla relazione fra arte, scienza e politica, mentre la storica americana Debora Lipstad ha dialogato con lo storico e giornalista israeliano Tom Segev sul come ci si difende dalla negazione della verità. Il titolo del dibattito richiamava il libro La verità negata in cui Lipstadt ha raccontato il processo del 2000 in cui sconfisse lo storico negazionista David Irving.
Ma sotto il tendone allestito nel complesso della vecchia stazione ferroviaria di Gerusalemme, che è il fulcro della Fiera, si è parlato anche del successo mondiale (e israeliano) dei libri di Elena Ferrante, della traduzione in ebraico delle novelle di Verga e di Qualcosa, l’ultimo libro di Chiara Gamberale.
L’Istituto italiano di cultura di Tel Aviv, poi, ha fatto una scelta fuori dagli schemi, e per discutere del ruolo degli educatori tra narrativa e realtà ha pensato a una delle figure italiane più stimolanti e complesse: don Lorenzo Milani. Eraldo Affinati, insegnante, fondatore della scuola per immigrati Penny Whirton e autore Mondadori, è stato invitato a presentare L’uomo del futuro, il volume che nel 2016 ha dedicato al priore di Barbiana. Il quale per Affinati è stato «sacerdote, educatore, profeta, ma anche scrittore italiano nascosto» a cui non è stata riservata la giusta considerazione letteraria.
Elena Loewenthal, traduttrice, scrittrice e addetto culturale dell’ambasciata italiana in Israele, ha dialogato con Affinati durante l’incontro che ha aperto leggendo un breve testo di don Milani. Un estratto dal saggio scritto dal Priore dopo aver incontrato alcuni direttori didattici, che secondo Loewenthal rappresenta un buon esempio della sua personalità e del tono della sua scrittura fatta di «pagine commoventi e così forti». Loewenthal ha affermato che nel cinquantesimo anniversario della morte di don Lorenzo «serve ricordare una figura umana, intellettuale e di fede veramente unica. Forse più di tante altre trattata male dalla storia e da chi ha cercato di farne un’icona di cose che lui non voleva e non rappresentava».
Secondo Affinati la visita di papa Francesco alle tombe di don Primo Mazzolari e don Milani prevista per martedì prossimo, 20 giugno, è un momento importante. Il gesto del papa gesuita in qualche modo sana la ferita inflitta dalla recensione negativa che La Civiltà Cattolica fece del libro Esperienze pastorali di don Milani. L’uomo che si definiva «ribelle ubbidientissimo» alla Chiesa, secondo Affinati «voleva garantire un’esperienza profonda della realtà, cercava di dare un’educazione integrale. Don Lorenzo aveva capito che il problema fondamentale è la lingua, che rende uguali. Se tu insegni la lingua insegni a pensare, non solo a comunicare». Affinati ha raccontato che l’incontro con don Milani è stato naturale per lui, scrittore con una lunga storia di insegnamento in alcuni istituti professionali di Roma e ora anche con gli immigrati. «In un certo senso – ha detto – condivido con lui il recupero dei ragazzi che in qualche modo contestano la scuola e ci mettono in crisi come insegnanti».
Come promette fin dalla copertina, il volume di Affinati L’uomo del futuro – Sulle strade di don Lorenzo Milani ripercorre i luoghi della biografia del Priore di Barbiana e propone le testimonianze di alcune persone che lo hanno frequentato. Ma la seconda parte del libro è composta da incontri con educatori di tutto il mondo che, a volte senza saperlo, ripropongono l’eredità spirituale di questo sacerdote libero e dedicato agli ultimi.
Né il libro di Affinati né i testi lasciati da don Milani sono disponibili in ebraico, ma durante l’incontro si è ricordato che la madre discendeva da una famiglia ebraica di alto lignaggio e che la puntigliosità con cui il Priore insegnava e portava avanti la sua visione è stata definita “rabbinica” da qualche osservatore.
Affinati ha concluso che tutto ciò che don Milani non voleva era l’indifferenza. E forse la più grande lezione che ci ha lasciato è che dovremmo esser responsabili anche dei contesti in cui viviamo, non solo della nostra piccola parte.