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Il viaggio lampo di Donald Trump in Israele e Palestina

Christophe Lafontaine
23 maggio 2017
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Il viaggio lampo di Donald Trump in Israele e Palestina
Il presidente Usa Donald J. Trump con il premier israeliano Benjamin Netanyahu il 23 maggio 2017 a Gerusalemme. (foto Yonatan Sindel/Flash90)

Dopo l'esordio in Arabia Saudita, il presidente Usa, al suo primo viaggio all'estero, ha toccato Gerusalemme e Betlemme il 22 e 23 maggio scorsi. Donald Trump vuole cambiare il Medio Oriente. Per ora non si sa come.


Il viaggio del presidente Donald J. Trump in Terra Santa, a cavallo tra il 22 e il 23 maggio, ha segnalato che l’era Obama è ormai alle spalle. Giungendo in Israele e nei Territori Palestinesi dopo un soggiorno di 48 ore in Arabia Saudita, Trump ha segnato una chiara distanza dal predecessore. Barack Obama aveva atteso oltre quattro anni, dall’inizio del mandato presidenziale, prima di recarsi a Gerusalemme e Ramallah nel 2013. Per il primo viaggio in Nord Africa e Medio Oriente, nel 2009, aveva invece optato per una visita al Cairo, in Egitto, dove pronunciato un discorso per tendere la mano al mondo musulmano. La scelta di Trump è stata sottolineata dal premier israeliano Benjamin Netanyahu – molto soddisfatto – quando ha accolto il presidente all’aeroporto di Tel Aviv insieme al presidente Reuven Rivlin (e alle rispettive consorti): «Prima d’ora nessun presidente americano aveva mai incluso Israele tra le destinazioni del suo primo viaggio all’estero». Il presidente Trump vorrebbe riuscire là dove i suoi predecessori hanno fallito: «Posso dirvi – ha dichiarato – che ci piacerebbe vedere Israele e i palestinesi giungere alla pace». Ha poi segnalato la convergenza di interessi tra Israele e Arabia Saudita di fronte alla minaccia dell’Iran, riscontrandovi «una rara opportunità» per la pace nella regione e quindi anche per la soluzione del conflitto israelo-palestinese.

L’inquilino della Casa Bianca, in linea con i discorsi dai toni corrosivi pronunciati a Riyadh, ha lanciato violente accuse contro l’Iran, affermando che il suo governo deve cessare «il finanziamento, l’addestramento e il rifornimento di terroristi e milizie». E in Israele ha ripetutamente affermato che Teheran non dovrà «mai e poi mai possedere un’arma atomica». Nessuno ignora quanto Israele sia preoccupato per l’influenza esercitata dalla Repubblica islamica d’Iran e per il suo sostegno ad organizzazioni come Hezbollah, in Libano, che è tra i nemici giurati dello Stato ebraico. «Per poter sognare – aveva chiosato il presidente israeliano Rivlin – dobbiamo poter essere certi che l’Iran sia lontano, lontano dalle nostre frontiere, lontano dalla Siria, lontano dal Libano». A sua volta, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha calorosamente rimarcato: «Voglio che sappia quanto apprezziamo il mutamento della politica estera americana verso l’Iran da lei enunciato con tanta chiarezza».

Nella mattinata del 23 maggio Trump si è brevemente recato a Betlemme, nei Territori palestinesi, dove è stato ricevuto dal presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen). L’attentato terroristico avvenuto la sera prima a Manchester (nel Regno Unito) ha messo un po’ in ombra i temi del colloquio. Nondimeno Abbas ha rimesso a tema la soluzione dei due Stati (Israele e Palestina fianco a fianco) entro i limiti territoriali che esistevano nei primi mesi del 1967 e che preveda la creazione di uno Stato di Palestina con capitale Gerusalemme est. Il presidente americano non ha raccolto. Mentre i negoziati tra israeliani e palestinesi sotto l’egida americana siano a un punto morto dal 2014, il presidente degli Stati Uniti s’è impegnato a fare «tutto il possibile» per aiutare israeliani e palestinesi a concludere un accordo di pace. Si noti che Benjamin Netanyahu e Mahmoud Abbas non hanno più avuto incontri ufficiali faccia a faccia dal 2010. Nel discorso al museo di Israele – poco prima di partire alla volta di Roma per l’udienza del 24 maggio con papa Francesco – Trump ha chiesto ad israeliani e palestinesi di giungere a compromessi per la pace. Nessun piano concreto è stato però annunciato.

Durante il suo breve soggiorno a Gerusalemme, Donald J. Trump ha offerto molti segni di amicizia agli israeliani riaffermando che la sua amministrazione sarà sempre al fianco di Israele ed esaltando i legami indistruttibili tra i due Paesi. Degno di nota è il fatto che Trump è stato il primo presidente statunitense in carica a fermarsi al Muro occidentale (o del Pianto), il luogo più caro al giudaismo. Al suo fianco, in quel momento, non c’era però alcun politico israeliano, per evitare che si potesse pensare a un riconoscimento americano della sovranità israeliana sul luogo. Per la comunità degli Stati, al contrario, lo statuto della città di Gerusalemme resta un tema da negoziare.

Prima di raggiungere il muro che delimitava a occidente la spianata del secondo Tempio giudaico, Trump, che è un cristiano presbiteriano, ha fatto tappa alla basilica del Santo Sepolcro, dove è stato accolto dalle massime autorità religiose responsabili del luogo santo.

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