Nei giorni scorsi, prima che il presidente statunitense Donald J. Trump giungesse in Medio Oriente per il suo primo viaggio ufficiale, dalla Chiesa locale in Israele e Palestina è venuto un appello a non abituarsi al conflitto in corso da decenni. In un comunicato che reca la data 14 maggio 2017 e ha per titolo La questione della normalizzazione, la Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa rifiuta di considerare «normale» la vita dei cittadini palestinesi, tanto nella società israeliana quanto in quella palestinese di Cisgiordania e Gaza. «Agire “come se” le cose fossero normali» equivarrebbe, spiega il testo della Commissione, ad «ignorare la violazione di diritti umani fondamentali».
Giustizia e Pace denuncia le conseguenze dell’occupazione militare israeliana per gli abitanti dei Territori palestinesi, in particolare la colonizzazione, la confisca di terre, la demolizione di case, la detenzione amministrativa, i posti di blocco… Ma il documento di metà maggio evoca anche le ingiustizie e le discriminazioni subite dai palestinesi cittadini di Israele (altrimenti detti «arabi israeliani») soprattutto sul versante del lavoro, dell’istruzione e dello stanziamento di risorse pubbliche per i bilanci delle città a maggioranza araba. «Alcune di queste forme di discriminazione sono previste dalla legislazione, altre sono indirette e nascoste», denuncia il documento.
In entrambe le situazioni – Israele e Territori – «la vita quotidiana impone determinate relazioni con le autorità israeliane». Tuttavia, osserva la Commissione, «tutte le persone implicate in queste relazioni dovrebbero essere coscienti che c’è qualcosa “di anormale” che dev’essere corretto». I membri della Commissione reputano la situazione politica sul terreno «confusa e disperata» e invitano le comunità cristiane, i capi delle Chiese e i fedeli a lavorare per «una società giusta ed egualitaria per tutti».
Nessuno ignora la voluta coincidenza delle date: il testo della Commissione è stato pubblicato a 69 anni esatti dalla proclamazione d’indipendenza dello Stato di Israele (14 maggio 1948) e pochi giorni prima del Giorno di Gerusalemme (24 maggio), celebrazione fissata dallo Stato ebraico dopo la “riconquista” di Gerusalemme est (inclusa la città vecchia) nel corso della guerra dei Sei giorni. Ecco dunque che alla vigilia dell’arrivo del presidente Trump, dei suoi incontri con i governanti israeliani e palestinesi e della sua successiva tappa in Vaticano, dove si parlerà certamente anche della situazione in Terra Santa, la Commissione Giustizia e Pace – presieduta da mons. Michel Sabbah, patriarca latino emerito di Gerusalemme – ribadisce che «la Chiesa locale in Israele-Palestina ha la responsabilità di ricordare alla Chiesa universale che la situazione in Israele-Palestina resta una ferita aperta e purulenta». «La Chiesa – chiosa la dichiarazione – non può mai ignorare l’ingiustizia come se tutto andasse bene, ma è invece obbligata a pronunciarsi, a resistere al male e a lavorare instancabilmente per il cambiamento». In vista di «una pace giusta e duratura», conclude il comunicato.