Vogliamo ricordare Hannah Bladon, la giovane studentessa inglese di 21 anni accoltellata mentre viaggiava sul metro leggero di Gerusalemme, il 14 aprile scorso, Venerdì Santo.
Uccisa nel giorno del Venerdì Santo a due passi dalla Porta di Jaffa, il posto che dà il nome a questo blog. È morta così – la settimana scorsa – Hannah Bladon, giovane studentessa inglese di 21 anni, accoltellata in pieno giorno mentre si trovava sul metro leggero di Gerusalemme, il mezzo di trasporto divenuto tragicamente il simbolo delle violenze di oggi nella Città Santa.
Mi ha colpito molto la scarsa eco che ha avuto questa notizia nel mondo. Inghiottita dal volto «quotidiano» che l’intifada dei coltelli ha ormai da tempo assunto, con i suoi atti di violenza e le sue vittime senza nome che non riescono più nemmeno a bucare lo schermo. Nemmeno quando – per la prima volta dall’autunno 2015 – a morire in Terra Santa è una cittadina di un Paese europeo.
È vero, in questo caso l’omicida era un uomo di mezza età con problemi psichici; dunque capisco che la tentazione di derubricare questa morte tra le notizie di cronaca sia forte. Ma è profondamente sbagliata. Proprio l’intreccio tra la violenza e le fragilità psichiche è uno dei volti caratteristici dell’intifada dei coltelli; come ho provato a spiegare già altre volte, questa non è l’intifada dei miliziani, ma quella dei disperati; l’intifada di chi sceglie di morire e dare la morte perché soffocato da una vita senza prospettive. Il fatto che un uomo di mezza età con evidenti problemi psichici scelga di compiere un gesto del genere proprio sul metro leggero di Gerusalemme, quindi, non è «un’altra storia». È l’estrema conseguenza di un’idea che rimane in circolo e che nessun dispiegamento di polizia sarà mai in grado di fermare, finché alla condanna al nichilismo non verrà offerta un’alternativa credibile. Ed è un’idea che proprio nelle menti più fragili in Palestina fa breccia con maggiore facilità.
La storia di Hannah Bladon mi colpisce, però, anche per un altro motivo: questa ragazza era una studentessa di scienze religiose. Per questo motivo dall’Università di Birmingham, dove studiava, si era trasferita per un semestre all’Università ebraica di Gerusalemme, dove seguiva i corsi di ebraico biblico e di archeologia. Quando è stata uccisa stava proprio rientrando da uno scavo a cui partecipava nell’ambito dell’attività accademica. Hannah è il volto di una Gerusalemme fatta di giovani che da tutto il mondo arrivano per studiare il tesoro più prezioso che la Città Santa custodisce. È il volto di chi continua a scrutare in profondità la Parola di Dio e le pietre della storia della salvezza per cercare di coglierne il significato. Chi conosce un po’ Gerusalemme sa che non è poi così difficile incontrare tra le sue vie giovani che come lei, a vent’anni, si sono lasciati sedurre dalla bellezza di questa sfida. Giovani in cerca non tanto del sensazionalismo biblico, della scoperta che cambierà il nostro modo di leggere i Vangeli o le pagine della Torah; ma dello spessore di una storia che – appiattendoci su letture troppo frettolose o superficiali – rischiamo di perdere per sempre.
Sappiamo poco su Hannah: nemmeno sui giornali inglesi ho trovato molti dettagli. Ad eccezione di due, comunque significativi. Il primo: oltre che nella squadra di rugby locale e nel gruppo archeologico, in Inghilterra era impegnata nella sua comunità cristiana. Non ci volevo molto a capirlo. Dunque per lei quella che si apprestava a vivere era la Pasqua cristiana a Gerusalemme; e non facciamo fatica a immaginare quali potessero essere i suoi pensieri. Le è capitato, invece, di morire lì, proprio il Venerdì Santo. Come il vero Maestro, che anche nei suoi studi probabilmente cercava di conoscere più a fondo.
L’altro dettaglio, invece, l’ho trovato sul Times of Israel e parla di un gesto piccolo: era seduta sul tram Hannah, ma poco prima di essere colpita si era alzata per cedere il posto a una signora con un bambino piccolo. Probabilmente è così che si è fatta notare dal suo assassino. «Ogni volta che avete fatto una di queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me», dice il Vangelo. Siamo certi che nella Gerusalemme celeste il Risorto avrà accolto con queste sue parole la ragazza giunta dalla Gerusalemme degli uomini, ancora senza pace.
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Perché “La Porta di Jaffa”
A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.