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L’inarrestabile Raha

Fulvio Scaglione
20 aprile 2017
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La trentenne Raha Moharrak è stata la prima donna araba ad aver scalato l’Everest. Bella impresa, ma lei dice che scalare il tetto del mondo è più facile che cambiare la mentalità sulle donne nel suo Paese.


Lei dice, con un certo senso dell’umorismo, che «l’impresa più difficile è stata convincere i miei genitori». Ma si può capirla: nascere tra le sabbie di Gedda, in Arabia Saudita, e a 31 anni essere la prima e più giovane donna araba ad aver scalato l’Everest non è cosa da poco. Soprattutto se consideriamo che il suo Paese natale è rimasto l’unico che caldamente “sconsiglia” alle ragazze di praticare lo sport, qualunque esso sia. Ma a Raha Moharrak, alpinista dei deserti nonché laureata in Comunicazione visuale ed esperta di computer grafica, il carattere non manca. Altrimenti non avrebbe potuto, nel 2013, scalare prima i 6.962 metri dell’Aconcagua in Cile (febbraio) e subito dopo (maggio) gli 8.848 metri dell’Everest, la montagna più alta del mondo. Successo che ha diviso con altri due primatisti: Mohammed al-Thani, della famiglia reale del Qatar, e Raed Zidane, rispettivamente il primo qatariota e il primo palestinese a raggiungere quella cima.

Nel 2016 Raha ha rischiato la vita sui 6.190 metri del Monte Denali (fino al 2015 denominato McKinley), in Alaska, dove la sua spedizione è stata colta da una tempesta a breve distanza dalla vetta. Bloccata sotto la neve e nell’infuriare dei venti per una settimana, la ragazza ha perso tutte le unghie dei piedi, ha sviluppato ulcere allo stomaco e piaghe in tutto il corpo, rischiando di perdere la vita. Ora dice: «Ci è voluto un anno intero perché riuscissi a superare quello choc. E io che credevo di aver vissuto il peggio in Africa…». Il riferimento è alla scalata ai 5.895 metri del Kilimangiaro, in Tanzania, nel 2011. Raha aveva finanziato quella spedizione con i soldi prestati dai genitori. Nelle ultime fasi dell’ascesa il freddo le congelò l’acqua negli occhi e dovette essere trascinata verso la cima dai compagni di cordata. «In vetta, al salire del sole, sentii gli occhi scongelarsi lentamente e potei recuperare la vista».

Oggi Raha Moharrak ha ancora il Denali, la montagna che le ha inflitto la peggiore sconfitta, nel mirino. Ma con altrettanto coraggio accetta di proporsi come esempio per l’emancipazione delle donne saudite, tuttora costrette a subire un sistema politico-religioso che le penalizza e le reprime. Lei lo sa bene. «Ho vissuto la giovinezza e la stagione degli studi a Dubai, dov’ero libera di fare ciò che volevo. Il rientro in Arabia Saudita fu un colpo piuttosto duro. E quando decisi di darmi alle scalate, molti non mi capirono e mi criticarono aspramente. Ci fu chi disse che coprivo di vergogna la mia famiglia. Scalare le montagne più alte è facile, rispetto al compito di cambiare le mentalità. Ma io spero di vedere il giorno in cui le donne arabe non dovranno più stabilire primati, perché li avranno già raggiunti tutti».

 


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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