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Restaurati a Roma, tornano in Siria due busti di Palmira

Eleonora Prandi
4 marzo 2017
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Restaurati a Roma, tornano in Siria due busti di Palmira
I due busti di Palmira restaurati a Roma. (foto E. Loliva/Ansa)

La cooperazione tra archeologi e restauratori siriani e italiani restituisce l'integrità perduta a due antichi busti di Palmira, sfregiati dalle masnade dello Stato islamico.


Sono tornati in Siria i due busti funerari risalenti al II-III secolo d.C. rinvenuti a Palmira, salvati dalla furia jihadista e successivamente restaurati a Roma, grazie alla tecnologia di stampa 3D utilizzata dagli esperti dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro (Iscr).

Le due opere d’arte, recuperate nella primavera del 2016 in seguito alla riconquista di Palmira, erano state seriamente danneggiate da alcuni colpi di martello. Il salvataggio dei busti è il risultato del lavoro di un gruppo di lavoro internazionale a cui hanno collaborato forze italiane e siriane. Un tentativo di salvataggio era stato effettuato da archeologi di Damasco prima della conquista di Palmira da parte dei miliziani, all’inizio del 2015, ma gli studiosi, fuggendo, avevano dovuto abbandonare la maggior parte dei reperti. Così appena il sito archeologico e la città sono state nuovamente raggiungibili i funzionari siriani hanno consegnato i due reperti gravemente danneggiati ai colleghi italiani i quali li hanno affidati, a loro volta, all’associazione Incontro di civiltà, presieduta da Francesco Rutelli, che li ha esposti nell’ottobre del 2016 nella mostra Rinascere dalle distruzioni e in seguito li ha affidati ai laboratori del San Michele, sede dell’Iscr, per l’intervento di restauro.

Antonio Iaccarino, responsabile del restauro, in collaborazione con l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, afferma che per i due busti, uno maschile e uno femminile «le martellate subite sono state paradossalmente meno dannose rispetto alle normali cause di degrado del materiale archeologico, perché nella loro violenza hanno spezzato gli oggetti in più parti nette che si possono ricomporre precisamente. La prima fase dell’intervento quindi è consistita nella ricomposizione dei frammenti recuperati: un procedimento abituale svolto in poco tempo. La difficoltà si è presentata con il busto maschile che aveva un’importante lacuna che interessava la metà sinistra del volto». Sulle modalità di restauro del busto il gruppo di esperti italiani si è scontrato con quello siriano, che spingeva verso una ricostruzione completa e realistica, volta a cancellare le tracce del tragico episodio storico, afferma Iaccarino.

L’Iscr, però, ha optato per una soluzione meno invasiva e così si è raggiunto il compromesso attraverso la stampa 3D delle parti mancanti al volto maschile. La tecnica non era mai stata applicata ad un volto poiché si temeva che la differenza con l’originale si sarebbe notata eccessivamente e la simmetria non sarebbe stata perfetta. Ma grazie alla scansione 3D il risultato è stato positivo e ha permesso, con l’approvazione della direttrice dell’istituto Gisella Capponi, di preparare l’integrazione della guancia e dell’occhio in modo interamente digitale, basandosi sui dati oggettivi già presenti nella scultura e soprattutto estendere l’intervento anche fino alla fronte e ad una porzione della capigliatura, per evitare che ricostruendo il solo occhio si abbia un volto dall’effetto innaturale. La parte stampata viene dotata di alloggiamenti per magneti per la connessione con il busto. Il lavoro di restauro è stato completato nel tempo record di sei settimane.

Il direttore generale delle antichità siriane, Maamun Abdul Karim ha dichiarato all’agenzia France Presse che il restauro dei due busti è «il primo e reale passo che la comunità internazionale ha mosso per proteggere l’eredità siriana e combattere l’estremismo e la barbarie dell’Isis. L’eredità culturale siriana è eredità dell’intera umanità». Il direttore ha inoltre aggiunto, ricordando e tributando direttore del museo e del sito archeologico della città di Palmira, Khaled al-Asaad, ucciso in modo brutale dai miliziani, che attraverso la ricostruzione di ciò che l’autoproclamato stato islamico ha distrutto e attraverso il restauro e la conservazione del patrimonio culturale si sta combattendo una battaglia ideologica altrettanto importante di quella combattuta con le armi.

I due busti appena tornati a Damasco si ricongiungono con altre 400 opere salvate dalla furia jihadista.

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