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Lo Yemen stremato da tre anni di guerra

Laura Silvia Battaglia
24 marzo 2017
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Lo Yemen stremato da tre anni di guerra
Mohanned, un bimbo ricoverato per malnutrizione, a fine 2016, in un ospedale della provincia di Hajjah. (© foto: UNICEF/Fuad)

Dopo un triennio di conflitto lo Yemen ha cambiato pelle. Le piaghe sociali, già presenti prima del 2015, si sono moltiplicate. I bambini patiscono la malnutrizione e gli ospedali sono senza fondi.


La guerra in Yemen entra nel terzo anno e trovarsi ad annunciare questo “anniversario” suona grottesco. Perché i morti (solo civili) sono stati più di 7 mila; i feriti oltre 43 mila; senza contare i dispersi interni, i rifugiati verso il Corno d’Africa, gli scomparsi e i rapiti, che sono tanti e pure minorenni.

Lo Yemen, con il suo carico di morte che avanza verso il futuro e un’ipoteca di indifferenza che pesa sulla comunità internazionale, è un Paese che ha cambiato totalmente pelle e dove le piaghe sociali già presenti prima del 2015 – malnutrizione, fame, scarso accesso all’acqua potabile, emergenze sanitarie, mancanza di strutture, disoccupazione, tasso di istruzione bassa, matrimoni precoci – si sono moltiplicate. Si è bloccata solo la migrazione che, di fatto, è ormai impossibile per chi sia rimasto intrappolato dentro il Paese, se non su rotte piuttosto fortunose, illegali e fortemente a rischio, sia via mare (Gibuti) che per via di terra (rotta indo-iranica o rotta sudanese). Così, quel che le bombe e gli scontri di terra più non possono – ossia decimare la popolazione in modo radicale – può la fame, soprattutto nel Nord, completamente isolato dalle comunicazioni aeree, dove l’aiuto umanitario è raro e razionato, e il Paese è stato atterrato dalla crisi economica a causa dello spostamento della banca centrale verso Aden, a Sud.

Proprio l’aspetto sanitario presenta un quadro di disarmante e incredibile gravità che Meritzell Relano, rappresentante dell’Unicef in Yemen, definisce “catastrofico”. Di questa realtà Terrasanta.net è stata testimone, visitando cinque ospedali in tre province nel Nord del Paese. Ogni provincia ha le sue specificità, ma la situazione di tutti gli ospedali presenta elementi comuni: mancato pagamento degli stipendi del personale sanitario da 6 mesi; grave affollamento delle strutture e carenza di un numero di letti almeno sufficiente a contenere l’emergenza; enorme difficoltà nell’ottenere nuovi macchinari per via dell’embargo o nel riparare quelli vecchi o procurarsi i pezzi di ricambio; assenza assoluta di apparecchi per la Tac e la risonanza magnetica; forniture di ossigeno più che dimezzate; carenza di immunoglobulinici e antibiotici; impossibilità di eseguire le terapie dei pazienti oncologici ed estrema difficoltà per le dialisi. Ancora più difficile è trasferire un paziente in un Paese terzo per sottoporlo a trapianto.

Su tutto, la malnutrizione precipita questo quadro in un buio ancora più fosco: almeno 370 mila bambini sono a rischio, ma il numero di minori già malnutriti e morti per questa ragione è molto elevato. Nell’ospedale di Hodeida – città del nord-ovest affacciata sul Mar Rosso, un tempo meta di coppie di sposi in luna di miele – circa 120 bambini vengono ricoverati ogni mese nel reparto Malnutrizione, fondato già alcuni anni fa dall’Unicef e finanziato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao). Purtroppo sono più quelli che escono da lì morti, che quelli che escono vivi. Maha Alqadasi, è la capo sala del reparto e specifica: «Il numero è variabile: durante il primo mese di guerra, due anni fa, ricevemmo appena 5 casi. Questo mese ne abbiamo avuti 104. A volte il numero è ancora più alto. La mortalità dei bambini è gradatamente salita dal 15 al 50 per cento». Quando ce lo spiega Maha ha appena finito di assistere un bambino che le è spirato tra le mani. Maha aveva già eseguito la rianimazione cardiopolmonare quando è arrivato il dottor Abdullah Zoheir. Il medico racconta che sono preparati a tutto, che vedono così tanti pazienti che si sono abituati all’esito negativo: «Purtroppo la malnutrizione è già una sorta di morte lenta. Alle volte le famiglie non la riconoscono nemmeno. Se ormai avanzata, porta inevitabilmente al decesso». Nell’unica stanza, insieme al bambino il cui corpo è ormai avvolto in un sudario improvvisato, c’è un’altra mamma. La sua bimba ha un incarnato giallastro, le labbra piegate all’ingiù e crepate. Il corpo è enfiato: se non fosse per questi segni, diresti che sta bene, perché è in carne. «Invece no – fa presente il dottore -. Una delle facce con cui la malnutrizione si presenta è l’acquisizione di peso: questa tipologia di malnutrizione si chiama kwashiorkor. Tutto il corpo del bambino suda permanentemente e si sviluppano alcuni edemi, come questo che la bimba ha su guance e labbra». La mamma della piccola è molto fiduciosa che la figlia possa uscire da lì sulle proprie gambe, ma sa anche che dovrà pagare l’ospedale. Nello Yemen sotto assedio chi dà aiuto in guerra, ossia dottori, infermieri e tutto il personale sanitario, debbono farlo gratuitamente, ormai. Per contro, i pazienti debbono pagare alle strutture fino all’ultima spesa. Molti pazienti cronici e oncologici non ce la fanno. Come Suleiman, che incontriamo nel cortile dell’ospedale al Jumuri di Sanaa, arrabbiato con il mondo e con le organizzazioni umanitarie. Gli tocca tornare a casa e aspettare che, al posto dell’ambulanza, se lo venga a prendere la morte.

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