La scorsa settimana gli egiziani si sono scagliati contro la decisione del governo di tagliare i sussidi per il pane ai detentori delle vecchie tessere utilizzate per compare a prezzi calmierati. Il ministero delle Forniture ha ridotto il pane sovvenzionato dalle 1.000-1.500 unità per ogni panetteria alle 500 al giorno.
Le tessere magnetiche, introdotte tre anni fa, non sono arrivate per tutti. Un inconveniente tecnico che ha impedito a molti cittadini di acquistare la quota di pane a cui avevano diritto.
Le proteste sono scoppiate in sette governatorati, da Assiut a Kafr Al-Sheikh passando per Giza, scandite da slogan rivoluzionari che echeggiano le richieste di «pane, libertà e giustizia» della rivolta popolare del 2011. L’hashtag «insurrezione del pane» rimbalzava anche nelle reti sociali di un Paese che ha un quarto della popolazione che vive sotto la soglia di povertà.
Il governo si è visto a costretto a fare retromarcia. Il giorno dopo le manifestazioni il ministro delle Forniture, Ali Moselhy, si è scusato promettendo di modificare il provvedimento.
Gli improvvisi tagli alle quote del pane, a detta del ministero, sono stati motivati dall’intento di combattere sprechi e speculazione da parte dei panettieri. In realtà, l’amministrazione del presidente Abdel Fattah el Sisi starebbe cercando di ridurre ulteriormente le spese dello Stato, come argomenta Bisan Kassab, giornalista egiziana specializzata in temi economici. «Il governo – dice – cerca di tagliare dove può quotidianamente per ridurre il deficit. Ancora prima che la lira egiziana venisse svalutata, i tagli erano già stati applicati a un gran numero dei beni sussidiati dallo Stato».
Tra gli impegni presi dal presidente el Sisi per l’ottenimento di un prestito da 12 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) all’Egitto, c’è proprio la fine dei prezzi sussidiati per una vasta gamma di beni e la riduzione del debito pubblico.
Un altro requisito è la fluttuazione della moneta locale, che ha perso la metà del proprio valore nei confronti del dollaro, disposta dalla banca centrale egiziana a novembre. La svalutazione della lira ha fatto schizzare l’inflazione che ha svettato al 30 per cento a febbraio. Una misura duramente criticata da partiti politici e organizzazioni per i diritti civili egiziani che ritengono colpisca esclusivamente i cittadini a basso reddito.
Volano i prezzi di acqua, gas, elettricità e benzina, così come di generi alimentari, medicinali e trasporti, mentre il governo continua a spingere per le riforme economiche.
«Se è vero che i sussidi per i beni alimentari sono stati aumentati dell’8,9 per cento, l’inflazione è lievitata dell’11,5», spiega la reporter Kassab, che definisce ‘’nullo’’ il beneficio dei sussidi maggiorati. I prezzi degli stessi alimenti di base come zucchero, riso e olio da cucina sono infatti cresciuti.
Il ministero delle Forniture ha sì provveduto alla distribuzione di 100 mila tessere magnetiche e all’aumento delle quote di pane a prezzo politico in alcune delle città più a corto del tipico alimento, ma ciò va letto come un rimedio provvisorio.
Secondo gli analisti, l’economia egiziana continua a risentire dei duri effetti del programma di riforme adottato dal governo, e l’inflazione resterà alta almeno fino al 2019.
Sventate nuove proteste, l’insoddisfazione rimane diffusa tra le masse. Se la crisi del pane è per ora rientrata, il problema potrebbe riaffacciarsi nuovamente in futuro. Così come per altri prodotti primari mentre gli economisti prevedono nel nuovo anno finanziario ulteriori tagli ai sussidi e rincari nel paniere dei beni delle famiglie.