In arabo si chiama Jebel at-Tur, dove però sia il termine arabo jebel sia l’aramaico tur significano entrambi «monte». È la montagna sacra dei samaritani. Con i suoi 881 metri, il Garizim è meno alto dell’Ebal (940 metri) che gli sorge di fronte, ma è di gran lunga più importante per storia e sacralità.
Il termine «samaritani» deriva storicamente da quello della città e del territorio di Samaria. All’origine della spaccatura che tuttora resiste con l’ebraismo, sono le vicende del ritorno degli ebrei di Gerusalemme dopo l’esilio; questi ultimi non riconobbero i samaritani come «autentici» ebrei in quanto si erano mescolati con la popolazione pagana introdotta dai babilonesi. Motivo per cui i samaritani boicottarono la ricostruzione del tempio di Gerusalemme (Esdra 4,4-6; Neemia 3,33-4,3; 6,1-9) e ottennero da Alessandro Magno il permesso di erigere un proprio luogo santo.
In cima al Garizim, nel punto più elevato, negli anni Trenta del Novecento furono intrapresi scavi dall’archeologo tedesco A. M. Schneider, poi portati avanti tra il 1982 e il 2000 dall’israeliano Yitzchak Magen. Sono venuti alla luce vari strati di reperti che in buona sostanza hanno confermato quanto si sapeva già dalle fonti scritte. In fondo giacevano i pochi e incerti resti del tempio originale dei samaritani, ma non è chiaro se sorgesse più a sud di quello romano (al posto dell’attuale piattaforma sacrificale) o proprio nel punto in cui sarebbe stato eretto l’edificio successivo. Nell’anno 72 d.C. fu costruito il tempio di Giove, un vasto complesso circondato da alloggiamenti per i pellegrini, edifici pubblici e quartieri residenziali.
In quello stesso punto, alla fine del V secolo d.C., sarebbe stato realizzato – per ordine dell’imperatore Zenone – il santuario mariano: un vano ottagonale (di 30 x 37,5 metri) con abside a est, all’interno del quale vi era un altro ottagono circondato da colonne, probabilmente sormontato da una cupola. Lungo le pareti esterne erano incastonate quattro cappelle laterali, ognuna con propria abside, anch’esse più o meno orientate a est.
La chiesa era concepita come una fortezza: a offrire sicurezza all’intero complesso (56 x 71 metri) erano robuste mura con torri angolari, segno che si prendeva molto sul serio la possibilità di azioni di «resistenza» samaritane. Nel secolo seguente l’imperatore Giustiniano avrebbe aggiunto, nel settore settentrionale, ulteriori fabbricati e un bacino idrico. Tali fortificazioni furono poi riutilizzate sia in epoca araba che in epoca crociata; non a caso, il nome arabo di queste rovine è ancora adesso al-Qala, «la fortezza».
L’intero sito archeologico è oggi diventato un Parco nazionale israeliano. I luoghi santi dei samaritani, da loro utilizzati per le celebrazioni, sono isolati con steccati. Attraverso la torre sud-occidentale delle mura, si entra nell’area della chiesa bizantina con al centro l’edificio ottagonale. Un’opera impressionante perfino ora che è ridotta in rovine. Da una terrazza panoramica a est sulle mura difensive si gode un’imponente vista sulla pianura sottostante.