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Gesù nell’arte israeliana, una mostra sorprendente

Beatrice Guarrera
17 marzo 2017
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Gesù nell’arte israeliana, una mostra sorprendente
Un'opera senza titolo di Adi Nes esposta nella mostra su Gesù nell'arte israeliana. (foto: The Israel Museum)

Al Museo d'Israele fino al 16 aprile una mostra racconta come Gesù viene rappresentato nell'arte israeliana. I motivi cristiani simboleggiano di volta in volta i dolori del popolo ebraico o di quello palestinese.


Gesù raffigurato da artisti israeliani ha il volto di un ebreo trascinato in un campo di concentramento, è in croce come un beduino a cui sono state confiscate le terre, ha lo sguardo di un bimbo palestinese che dovrà morire. È quanto scopre il visitatore di una mostra di forte impatto, aperta fino al prossimo 16 aprile al Museo d’Israele, a Gerusalemme, e intitolata Ecco l’uomo: Gesù nell’arte israeliana.

L’immagine di Gesù sulla croce da sempre rappresenta la più grande sofferenza dell’umanità: quella di un uomo morto ingiustamente tra atroci tormenti, che era anche figlio del Creatore, ma che è stato condannato dalle sue stesse creature. La drammaticità di questo evento, che sconvolge da oltre duemila anni, è arrivata col tempo a simboleggiare anche altro, tanto da essere utilizzata dagli artisti per rappresentare il dolore con la massima forza espressiva possibile. Lo hanno fatto anche alcuni artisti israeliani dal XIX secolo a oggi, i cui lavori sono stati sapientemente scelti e raccolti dal curatore della mostra Amitai Mendelsohn. Tra gli autori Maurycy Gottlieb, Marc Chagall, E. M. Lilien, Reuven Rubin, Igael Tumarkin, Moshe Gershuni, Motti Mizrachi, Menashe Kadishman, Michal Na’aman, Adi Nes e Sigalit Landau.

March Chagall con la sua celebre Crocifissione in giallo è stato uno dei primi a trasformare il supplizio di Gesù in un simbolo della sofferenza del popolo ebraico. Per molto tempo gli ebrei considerarono la rappresentazione della croce quasi come un tabù, a causa del fatto che venivano accusati di essere il popolo che aveva messo a morte il Messia. Nel XIX secolo la situazione è cambiata. Alcune illustrazioni di Ephraim Moses Lilian recano spesso corone di spine, croci e immagini associate alla figura di Maria. Questo per simboleggiare sia la sofferenza ebraica per la diaspora, sia la determinazione del sionismo a portare una sorta di resurrezione nella Terra di Israele. Il male dell’Olocausto viene richiamato nella serie 6.000.001 di Moshe Hoffman: Gesù, ebreo, viene tirato per un braccio giù dalla croce da un militare tedesco. In altre opere il motivo della croce ricorre le nelle file degli ebrei davanti ai campi di concentramento, nei pezzi di legno spezzati all’interno del recinto di un lager.

Gesù compare anche nelle opere di Reuven Rublin: il sionismo avrebbe la missione di riportare agli ebrei la vita, così come Gesù risuscitò per dare la vita all’umanità. La pittura di Naftali Bezem, invece, trasferisce un’altro significato simbolico ai temi cristiani. In Cortile del terzo tempio Bezem fa riferimento al massacro del 1956 a Kafr Kassem in cui persero la vita cinquanta palestinesi. Per la prima volta la figura di Gesù è inserita per ritrarre una vittima palestinese degli ebrei.

Igael Tumarkin associa alla crocifissione la sofferenza dei beduini, a cui sono state confiscate le terre, e realizza così la sua opera, assemblando brandelli di vestiti e costruendo con del legno una struttura simile alla croce. Una donna palestinese che ha in braccio un bambino è il soggetto della foto scattata in una prigione da Micha Kirsner. Chiaro è il riferimento alla Madonna e suo figlio, richiamati dalla raffigurazione di una donna sofferente come Maria e di un bambino che sul suo futuro ha scritto un destino di morte come Gesù.

Un’ultima cena con apostoli in abiti militari è una delle ultime opere visibili nella mostra: i soldati israeliani sono emissari di un potere più forte di loro e sono, come Gesù, le vittime che potrebbero essere tradite.

La mostra del Museo d’Israele è interessante e sorprendente. Testimonia come l’iconografia di ispirazione cristiana sia ancora eloquente per parlare dei conflitti del nostro tempo.

Chi non può visitare personalmente il Museo di Israele può anche farsi un’idea della mostra grazie a un’audioguida (in inglese) che, nel sito istituzionale del museo, illustra brevemente alcune delle opere esposte.

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