Linea pulita, stile elegante: il debutto di Vogue Arabia, nelle settimane scorse, è avvenuto seguendo le linee guida della Vogue storica. Ma i punti che contraddistinguono il magazine mediorientale dai suoi colleghi occidentali sono molti: primo tra tutti la top model Gigi Hadid in copertina, bellissima e velata.
La rivista, diretta dalla principessa Deena Aljuhani Abdulaziz, disponibile in due edizioni, una in arabo e una in inglese, ha debuttato il 5 marzo con una storia di copertina intitolata Riorientare le percezioni, risultando rivoluzionaria e progressista sotto molti aspetti.
Rashmee Roshan Lall, cronista di The Arab Weekly, afferma che le “percezioni” introdotte dalla Abdulaziz, vengono “riorientate” in almeno tre modi. In primo luogo sottolineando il contrasto di una rivista come Vogue, da sempre intenzionata a mostrare le donne, con il mondo arabo dove, di norma, il corpo femminile è tenuto nascosto. In secondo luogo attraverso il velo, adornato da ricami e cristalli, che cela in parte il volto della modella, ma non ne nasconde la bellezza, esaltandola invece. L’intento della principessa Abdulalziz è di sottolineare come una donna non sia meno bella qualora decida di indossare un velo, potendo mantenere intatte le caratteristiche che la rendono donna.
Il lancio di Vogue Arabia avviene in un momento nel quale le donne mediorientali, e in particolare le donne appartenenti al mondo arabo, iniziano ad avere una diversa percezione di sé stesse e a rivendicare, seppure sempre nei limiti del pudore religioso, la loro indipendenza e la loro femminilità.
Abbiamo già raccontato la storia di Dana al-Gosaibi, addestratrice di cavalli vissuta dieci anni fuori dall’Arabia Saudita, che sogna di poter svolgere il proprio lavoro anche nel suo paese. Il tentativo di conciliare credo religioso e voglia di esprimersi anche nelle discipline sportive, porta alla luce inoltre, il progetto lanciato da Nike pro-hijab, che sarà commercializzato il prossimo anno e vede la nota marca sportiva creare degli hijab – ovvero dei veli – adatti ai vari sport praticati dalle atlete di fede islamica.
Questo messaggio che spinge alla ricerca di emancipazione per la donna araba, si rivolge però ad un pubblico ristretto e d’élite poiché le lettrici di Vogue, indipendentemente dal Paese di appartenenza, appartengono a un determinato ceto sociale.
L’emancipazione e la libertà delle donne nei Paesi del golfo Persico è ben lontana dal suo compimento. Secondo una ricerca pubblicata dall’associazione Human Rights Watch intitolata «Incastrate. Le donne e il sistema della custodia maschile in Arabia Saudita» (Boxed In: Women and Saudi Arabia’s Male Guardianship System) nei Paesi arabi del Golfo le donne non hanno libertà e dipendono in tutto e per tutto dalle decisioni e dal volere del proprio tutore legale che deve essere maschio e parente prossimo (padre, marito, fratello, cugino e persino figlio).
Le donne saudite non possono guidare o spostarsi senza essere accompagnate, e tanto meno praticare sport; inoltre non possono lavorare se non affidate alla supervisione di un uomo. A causa di tali restrizioni circa un milione e 700 mila donne non hanno un’occupazione, anche se oltre il 50 per cento ha un livello di formazione universitario.
La pubblicazione di Vogue Arabia e della sua copertina provocatoria, non ha mancato di attirare critiche, a causa del suo debutto controverso sotto più fronti. Una lettrice del magazine chiosa sul profilo social della modella: «Non è giusto che Vogue Arabia scelga di ingaggiare modelle europee e americane invece che puntare su uno dei tanti talenti arabi» sottolineando le origini non del tutto orientali della Hadid, figlia di padre palestinese e di madre olandese.
La direttrice del giornale risponde alle critiche nel suo editoriale affermando che «non c’è un altro primo “volto” che possa guidare la carica di Vogue Arabia meglio di Gigi, una modella che incarna la generazione imprenditoriale e dinamica del futuro». La modella, d’altro canto, non manca dal commentare con gioia la nuova collaborazione e ribadisce l’impronta moderna e progressista del magazine affermando: «Credo che la cosa più bella dell’internazionalità di Vogue sia che, come fashion community, siamo in grado di celebrare e condividere con il mondo diverse culture».
Su una contraddizione di fondo e cioè sul fatto che né gli azionisti della rivista né la direttrice abbiano concretamente preso posizione in favore dell’emancipazione delle donne saudite, promuovendo almeno qualche iniziativa concreta, nessuno ha avuto l’ardire di esprimersi.