(m.a.b./g.s.) – Nei giorni scorsi la Corte Suprema egiziana ha stabilito che gli impiegati pubblici cristiani devono godere gli stessi diritti dei colleghi musulmani quando si recano in pellegrinaggio ai Luoghi Santi. D’ora in poi, quindi, anch’essi potranno usufruire – per una sola volta nel corso della loro carriera lavorativa – di un mese di congedo retribuito per recarsi pellegrini a Gerusalemme. La sentenza viene considerata una vittoria nella lunga lotta dei cristiani per l’uguaglianza. Anche se è bene non dimenticare che il pellegrinaggio annuale (Hajj) alla Mecca è un obbligo – una volta nella vita – per ogni musulmano che sia fisicamente e finanziariamente in grado di sostenerlo; al contrario, nessun precetto comanda ai cristiani di farsi pellegrini in Terra Santa.
I giudici della Corte Suprema hanno fondato la loro decisione sull’articolo 53 della Costituzione vigente dal 2014 il quale recita: «I cittadini sono uguali davanti alla legge: uguali per quanto riguarda i diritti, le libertà e i pubblici doveri, senza discriminazione di religione, di fede, di sesso, d’origine, di razza ecc.». Di fatto le discriminazioni restano largamente presenti nel Paese, benché il presidente Abdel Fattah el-Sisi moltiplichi i segnali di attenzione alla comunità cristiana. Ai primi di gennaio, egli stesso ha informato il patriarca copto Tawadros II della sua decisione di far costruire la più grande chiesa di tutto il Paese, la cui inaugurazione è prevista per il 2018. Il capo dello Stato ha promesso inoltre che tutte le chiese incendiate durante la presidenza di Mohammed Morsi (2012-2013) saranno ricostruite.
Segnali che, tuttavia, non bastano ai cristiani. I quali si considerano vittime di discriminazioni in vari ambiti della vita sociale e che in alcune zone del Paese subiscono vere e proprie persecuzioni.
Gli effetti della recente sentenza della Corte Suprema potrebbero essere contrastati dalla Chiesa copta ortodossa. Papa Tawadros ha infatti ribadito il divieto a recarsi a Gerusalemme e in Israele, stabilito dal predecessore Shenuda III in segno di solidarietà con il popolo palestinese. Una proibizione che non tocca i cristiani membri di altre Chiese. Gli stessi fedeli copti, d’altronde, mostrano di non curarsi troppo della direttiva patriarcale e ogni anno si recano a Gerusalemme a migliaia.