(g.s.) – Si è conclusa nella serata di quest’oggi nella capitale del Kazakistan, Astana, la due giorni apertasi ieri, 23 gennaio, con l’obiettivo di agevolare il raggiungimento della pace in Siria.
L’appuntamento internazionale è stato organizzato da Russia, Iran e Turchia. Oltre ai rappresentati di questi tre governi e del governo kazako, sono intervenuti anche un osservatore statunitense inviato dall’amministrazione Trump (i cui ministri, in questi giorni, si stanno ancora insediando e si sottopongono, uno ad uno, al vaglio del Senato) e l’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan De Mistura. Soprattutto erano presenti, anche se non per un confronto faccia a faccia, gli emissari del governo di Damasco, e una delegazione degli oppositori – che vogliono metter fine al regime del presidente Bashar al-Assad – guidata da Muhammad Allush. Esclusi gli uomini del sedicente Stato islamico e gli jihadisti di Fatah Al Sham, come si fa chiamare ora il fronte Al Nusra, legato ad Al Qaeda. Tagliati fuori, per volontà della Turchia, anche i curdi – nonostante il loro decisivo apporto militare contro gli jihadisti –, curdi che Ankara considera una minaccia all’integrità territoriale e nazionale turca per via delle loro istanze indipendentiste fatte valere anche con la violenza.
La conferenza si è chiusa con la pubblicazione di una dichiarazione finale firmata solo dai governi di Mosca, Teheran ed Ankara. I quali si impegnano a dar vita a un organismo trilaterale che supervisioni la tregua raggiunta sul finire di dicembre in gran parte del territorio siriano. La dichiarazione propugna anche una Siria, territorialmente unita, che sia uno Stato non confessionale, democratico, multi-etnico e multi-religioso.
I miliziani anti-Assad contestano all’Iran (e agli alleati Hezbollah) di aver essi stessi violato il cessate il fuoco sul terreno nelle ultime settimane.
I tre fautori della conferenza di Astana si impegnano a fare pressione sulle parti – opposizioni e governo siriani – perché si possa quanto prima avviare negoziati seri per la ricomposizione del conflitto. Al momento le posizioni rimangono distanti.