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A Damasco i frati con la porta aperta a tutti

Andrea Avveduto, dalla Siria
26 gennaio 2017
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A Damasco i frati con la porta aperta a tutti
... Ma la guerra tiene i pellegrini lontani dalla Siria e la cappella del Memoriale di San Paolo, presso Damasco, resta deserta.

I francescani della Custodia a Damasco: «La Siria è sempre stata un mosaico di culture e non permetteremo alla guerra di distruggerlo». E i religiosi aiutano come possono la popolazione impoverita.


Nella chiesa francescana vicino a Bab Touma (La porta di Tommaso) a Damasco, la cupola porta ancora i segni dei recenti bombardamenti. Fra Bahjat Karakach, il padre guardiano del convento, è scampato per miracolo all’esplosione che ha danneggiato il santuario. La chiesetta parrocchiale dove – con lui – vive anche fra Antonio Louxa è la prima tappa del nostro viaggio in Siria.

Dalle finestre si vedono bene le conseguenze della guerra nella capitale siriana, e di notte, di tanto in tanto, si sente qualche bombardamento lontano, che tiene il sonno leggero. La situazione, però, è decisamente migliorata rispetto a mesi fa. Alla sera le luci illuminano gran parte della città vecchia e i damasceni hanno voglia di uscire, di camminare, di stare con gli amici per sorseggiare qualcosa in compagnia. Tra i vicoli antichi della prima capitale del Califfato, si nascondono ancora le meraviglie dei tempi passati. Tra queste, alcuni luoghi molto cari ai cristiani di tutto il mondo.

Il memoriale di san Paolo è l’altra tappa importante del viaggio alla scoperta delle attività della Custodia di Terra Santa in Siria. Sopra un’antica strada romana, dove la tradizione vuole che san Paolo sia caduto da cavallo (la scritta recita: Traditionalis locus conversionis S. Pauli Apostoli), si erge uno dei luoghi custoditi dai frati francescani. Meta, prima della guerra, di migliaia di pellegrini che ogni anno visitavano il Paese. Oggi, del milione di turisti che in media affluiva in Siria, non c’è traccia. I frati stanno lì, da secoli, in nome e per conto della Chiesa cattolica, a custodire questo e altri luoghi santi in tutta la Siria (a pochi chilometri, ad esempio, il santuario di Sant’Anania).

Accanto a questa attività fondamentale però, fra Bhajat non dimentica di raccontare quanto i frati si spendano di questi tempi per aiutare chi è stato irrimediabilmente danneggiato dalla guerra. Anche a Damasco l’Associazione pro Terra Sancta sostiene economicamente l’opera dei frati. «Quest’inverno abbiamo distribuito circa 800 giacche per i bambini che non avevano nulla con cui coprirsi». La povertà è grande a Damasco. E anche se la gente ha ripreso a respirare, le difficoltà a cui deve far fronte rimangono molte. I francescani non si tirano indietro: «Sosteniamo alcune rette dell’asilo per i bambini di famiglie povere e stiamo iniziando anche alcuni progetti per quelli con maggiori difficoltà psicologiche». Suor Iole, che gestisce un asilo accanto al santuario della conversione di san Paolo, racconta del dramma dei tanti piccoli nati sotto la guerra: «Alcuni chiedono la doppia merenda, e non per mangiarla, ma per portarla a casa ai genitori che non hanno nulla con cui nutrirsi. I più disegnano solo missili e carri armati… a quattro o cinque anni i disegni dovrebbero essere altri». Coloro che soffrono di più sono i musulmani. «Vivono in un conflitto perenne qui in Siria – prosegue padre Bahjat – non riescono a comprenderlo, a superarlo, e per questo non trovano una via d’uscita a tutto questo male». Ma per fra Raimondo Girgis, responsabile del Memoriale di san Paolo, quando c’è da aiutare qualcuno non ci sono distinzioni. «Aiutiamo chiunque ce lo chieda. La Siria è sempre stata un mosaico di culture e non permetteremo alla guerra di distruggerlo».

Il modello di convivenza proposto dai frati è l’unico modo per ripartire oggi in un Paese lacerato dall’odio e dalla violenza. Come ci conferma anche il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria: «L’apertura agli altri è il nostro biglietto da visita, l’unico modo che abbiamo per mostrare una diversità. Dobbiamo continuare in questa direzione, è la nostra salvezza. Noi siamo il sale di questo Paese».

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