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Quelli che disertano

Terrasanta.net
18 novembre 2016
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Quelli che disertano
Una pattuglia di uomini dell'Isis, quando tutto andava bene.

Non è più stagione di trionfi per le masnade del sedicente Stato islamico. La controffensiva delle truppe curde e irachene induce molti combattenti ad abbandonare il califfo nero. E c'è chi pensa a rieducarli.


(i.s.) – L’avanzata delle truppe curde e irachene verso le città di Mosul e Raqqa, con la progressiva perdita dei territori conquistati dal sedicente Stato islamico (Isis) tra il 2013 e il 2014 in Iraq e in Siria, stanno spingendo sempre più combattenti ad abbandonare le fila del “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi.

Un giorno, nell’aprile del 2016, Mohamed al-Ghabi (un comandante della brigata Jaysh al –Tahrir, appartenente all’Esercito libero siriano) vide spuntare all’orizzonte un miliziano dell’Isis che si dirigeva verso di lui. «Veniva dal Nord Africa, non era siriano – racconta Mohamed al-Ghabi all’inviata del quotidiano francese Le Figaro che ha raccolto questa storia –. Ci disse di essere in fuga dall’Isis, che si trattava di un banco di banditi e assassini che avevano sporcato l’Islam».

Cosa fare di quell’uomo? Ucciderlo, imprigionarlo, oppure lasciarlo andare per la sua strada con il rischio che potesse compiere attentati in Turchia o in Europa? La decisione di al-Ghabi è spiazzante e per certi versi sorprendente: decide di dare vita a un centro d’accoglienza per i combattenti dell’Isis pentiti e in fuga.

«Diamo loro un tetto, li nutriamo e li aiutiamo a capire che hanno sbagliato. Dovreste vedere fino a che punto gli uomini dell’Isis gli hanno fatto il lavaggio del cervello con un’idea dell’Islam violenta e intollerante», spiega al-Ghabi. Che ha dato vita a una sorta di programma di riabilitazione per eliminare le “tossine” della propaganda violenta degli jihadisti. L’obiettivo: «Offrire la possibilità di una nuova vita, ma sempre mantenendoli sotto stretta sorveglianza – spiega al-Ghabi –. Il mio obiettivo è avviare un percorso di de-radicalizzazione per questi stranieri prima che tornino nei loro Paesi d’origine». Neutralizzarli, dunque prima che possano compiere gesti violenti o attentati.

Il centro – che si trova in una località segreta – accoglie attualmente una sessantina di persone tra siriani, maghrebini ed europei. Tutti devono seguire corsi di giuristi e soprattutto di teologi che illustrano il «vero Islam». Tra i fuggitivi ci sono anche delle donne: due ragazze francesi, per la precisione. Probabilmente, dopo essersi convertite all’Islam, hanno raggiunto la Siria per sposare degli jihadisti.

I rischi di questa operazione sono diversi. Quello più concreto è la presenza di infiltrati dell’Isis tra i disertori: «Ma ciascuno viene interrogato preventivamente; vogliamo assicurarci che non ci siano spie. Inoltre tutti sono tenuti sono stretta sorveglianza», spiega Mohamed al-Ghabi che però ci tiene a sottolineare che la struttura non è un carcere.

La brigata Jaysh al-Tahrir non è l’unica ad accogliere i disertori dell’Isis. La divisione Falaq al Cham ha dovuto convertire un’immobile in un centro d’accoglienza per gli oltre 300 fuggitivi dai territori dello Stato Islamico catturati in solo quattro mesi: siriani, ciadiani, egiziani, tunisini e gente del Caucaso. «Quelli che hanno le mani sporche di sangue vengono processati e poi imprigionati – spiega un combattente della brigata –. Gli altri vengono messi nel centro, controllati dai nostri uomini». Col passare del tempo, però, questa situazione rischia di diventare insostenibile, anche perché estremamente onerosa. «Spendiamo una fortuna per loro – ammette Abou Khalil, uno dei membri della brigata Jaysh al-Tahrir –. E ci sono anche incognite sul loro futuro: chi ha contattato la propria ambasciata ancora non ha avuto risposta per un possibile ritorno a casa».

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