«Sapete una cosa? Quando ci si mette dalla parte della verità, la pace è destinata ad arrivare». Leymah Gbowee è l’attivista liberiana che nel 2011 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace (assieme a Ellen Johnson Sirleaf e alla yemenita Tawakkul Karman) per aver guidato il movimento nonviolento composto da donne cristiane e musulmane che è stato cruciale nel porre fine alla guerra civile in Liberia.
Ieri sera però Gbowee non parlava dell’Africa. Dal palco di fronte alla residenza del primo ministro di Israele a Gerusalemme, si rivolgeva alle migliaia di israeliane e israeliani che si sono radunati per concludere una marcia pacifica iniziata 15 giorni fa nel nord del paese. La Marcia della Speranza è l’ultima iniziativa di Women Wage Peace (Le donne fanno la pace), il movimento fondato da un piccolo gruppo di israeliane nell’estate del 2014, durante l’ultimo attacco a Gaza. Ci si incontrava nelle case per confrontarsi sulla «situazione», pensare a strategie creative per costringere la politica a rimettere un accordo di pace in cima all’agenda.
Il gruppo si è allargato nell’arco di poche settimane e oggi Women Wage Peace conta sul sostegno di migliaia di donne in tutto il Paese. Laiche, religiose, di destra o sinistra, colone, musulmane, ebree e cristiane, donne provenienti da ogni settore della popolazione unite da una richiesta: «Che i nostri leader politici lavorino con rispetto e coraggio, includendo la partecipazione delle donne per trovare una soluzione al conflitto. Solo un accordo politico onorevole può assicurare il futuro dei nostri figli e nipoti».
L’anno scorso in commemorazione dei bombardamenti su Gaza del 2014, le donne del movimento organizzarono l’Operazione digiuno, montando una tenda davanti alla residenza del primo ministro e digiunando a turno per 50 giorni – l’equivalente della durata del conflitto. Sotto la tenda bianca si fermarono cittadini comuni, membri del Parlamento, come Tzipi Livni e Isaac Herzog, intellettuali come Tszvia Walden, la figlia di Shimon Peres. Un anno dopo il movimento è tornato davanti alla residenza di Benjamin Netanyahu per concludere la Marcia della Speranza. Un evento durato 14 giorni che ha incluso micro-marce in tutto Israele e, secondo le organizzatrici, ha coinvolto 20 mila persone. Tra queste, anche donne palestinesi e giordane che hanno marciato dalla loro parte del confine.
«Le marce locali sono state meravigliose, ed è stato importante riuscire a esser attive in tutto il Paese, da Eilat su fino a Metula e Rosh Hanikra. A Gerico eravamo duemila, tra cui molte palestinesi». Michal Shamir è una professoressa d’arte, insegna al Sapir College che si trova nel deserto del Neghev, vicino a Sderot. Conosce la vita fatta di sirene che iniziano a suonare all’improvviso e corse verso i rifugi antiaerei ogni volta che dalla Striscia di Gaza partono i lanci di razzi. Fa parte di Women Wage Peace dall’inizio e ora è responsabile del «giorno dopo». «Women Wage Peace non si ferma. Costruiremo una sukkah (la struttra temporanea fatta di legno, tende e fogliame che gli ebrei costruiscono per la Festa delle Capanne – Sukkot – che si celebra in questi giorni) e saremo qui fino alla conclusione di Sukkot lunedì prossimo», spiega Michal. Abbiamo un programma di eventi, e ospiti che ci faranno visita. Poi fino al 30 ottobre, quando il Parlamento riaprirà i lavori per il nuovo anno, ci sarà un alternarsi di donne che per un’ora staranno a piedi nudi davanti alla casa del premier come segnale di presenza».
La partecipazione delle donne palestinesi è stata organizzata da Huda Abuarqoub, attivista nata a Gerusalemme e cresciuta a Hebron, direttrice regionale dell’Alleanza per la pace in Medio Oriente. Parlando dal palco ieri sera ha detto: «Sono qua con donne che hanno scelto coraggiosamente di intraprendere una strada che non è ancora percorsa. Una strada di speranza, amore, luce, dignità, inclusione e riconoscimento reciproco. E sono anche qui per dirvi, sì, avete un partner, lo avete visto».
Anche Leymah Gbowee, che è arrivata dalla Liberia per trascorrere assieme alle donne di Women Wage Peace gli ultimi tre giorni della marcia ha parlato di inclusione e presenza. «Questi giorni sono stati per me un tonante sì: la pace è possibile. Questi giorni sono una manifestazione e un messaggio: davvero c’è un partner per la pace», ha detto ieri sera dal palco a Gerusalemme. E martedì durante un incontro alla comunità arabo-ebraica di Nevé Shalom-Wahat Al-Salam, Gbowee ha lanciato alle donne un messaggio chiaro: «Fare la pace è una cosa difficile, richiede un prezzo. Richiede di avventurarsi in luoghi che non avete mai immaginato assieme alle vostre sorelle palestinesi. Vi farà perdere amici e sacrificare la famiglia. Se non siete pronte, fate un passo indietro». Ieri concludendo il suo intervento ha promesso di fare tutto il possibile per sostenere israeliane e palestinesi nel loro percorso: «Avete alleati in Africa, in Asia, Europa, in tutto il mondo». La piazza ha ascoltato attentamente e gli applausi liberatori non fanno pensare a un passo indietro.