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La Festa delle Capanne tra i samaritani

Federica Sasso
21 ottobre 2016
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La Festa delle Capanne tra i samaritani
La decorazione del soffitto di una sukkah samaritana. (foto Nasser Ishtayeh/Flash90)

Le feste religiose menzionate nella Bibbia sono le stesse per ebrei e samaritani. Anche i secondi in questi giorni celebrano Sukkot, la Festa delle Capanne. A modo loro.


Quando arriviamo al Museo dei Samaritani di Kyriat Luza, sulle pendici del monte Garizim, il sacerdote Husney Cohen ci viene in contro appoggiandosi al bastone. Siamo in Cisgiordania, poco lontano da Nablus, e qui vive la più antica e la più piccola comunità etnico-religiosa al mondo. I samaritani fanno risalire le proprie origini a subito dopo la fine del regno di Salomone. Se ai tempi dell’Impero romano si contavano un milione di fedeli, oggi la comunità è composta da 750 persone che vivono in due centri. Un gruppo si è stabilito vicino ad Holon, in Israele, e tutti gli altri – incluso il sommo sacerdote – sono rimasti a custodire il monte Garizim, considerato sacro perché secondo i samaritani è qui che Abramo avrebbe legato Isacco per il sacrificio. Mosé stesso avrebbe ordinato di proteggere la montagna.

I samaritani si considerano israeliti e affermano di essere i depositari della vera religione ebraica precedente all’esilio di Babilonia. Custodiscono una loro versione della Torah che viene osservata in modo letterale. Gli studiosi hanno rilevato 6 mila discrepanze fra questi testi e quelli del giudaismo.

Le feste religiose menzionate nella Bibbia sono però le stesse e anche a Kyriat Luza in questi giorni si celebra Sukkot, la Festa delle Capanne, le costruzioni temporanee che gli ebrei praticanti costruiscono durante la festa per ricordarsi di come Dio ha protetto il cammino degli israeliti durante l’Esodo nel deserto.

Husney Cohen ha 73 anni, è alto, gioviale, e indossa un copricapo color porpora. Ci accompagna a casa di suo fratello Abdullah Wassef Tawfi, che ha 82 due anni ed è stato nominato sommo sacerdote perché è il membro più anziano della famiglia Cohen. Husney Cohen spiega che da sempre la loro famiglia appartiene alla tradizione sacerdotale dei Cohanim. «Da Adamo fino a mio fratello si contano 153 generazioni», afferma. Lui e il fratello siedono su un divano in stile arabo sotto una splendida sukkah composta da cerchi concentrici di limoni, melagrane e cedri, adorna di foglie di palma, mirto e salice – le quattro specie che Dio ha comandato agli ebrei di «prendere per sé» durante la festa di Sukkot.

La capanna samaritana è completamente diversa da quelle che si vedono in Israele, costruite in legno o con teli in cerata sui terrazzi e nei giardini. Questa assomiglia a un baldacchino prezioso che adorna il soggiorno della casa. «Ci è stato comandato di mangiare e dormire all’interno della sukkah», spiega Husney Cohen, «e costruirla all’interno delle case ci rende più semplice rispettare i comandamenti».

Appoggiandosi al bastone Cohen racconta della vita a cavallo tra la quotidianità in terra palestinese e la dimensione spirituale radicata nella tradizione ebraica. I samaritani si considerano un ponte per il dialogo fra palestinesi e israeliani e grazie alla tripla cittadinanza – palestinese, israeliana e giordana – sono attivi nella vita di queste società interconnesse.

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