Dopo infinite altre battaglie, allo Sheba Medical Center sta combattendo tra la vita e la morte Shimon Peres, l'ultimo dei padri fondatori dello Stato di Israele. Pochi personaggi incarnano quanto lui tutta la complessità e le contraddizioni di Israele.
Dopo infinite altre battaglie allo Sheba Medical Center sta combattendo tra la vita e la morte Shimon Peres, l’ultimo dei padri fondatori dello Stato di Israele, protagonista fino alla veneranda età di novantatré anni nella vita politica del Paese. L’ictus l’ha colpito un mese dopo il suo debutto su Snapchat – il social network preferito dai giovanissimi – e nello stesso giorno in cui il suo staff aveva diffuso sulla sua pagina Facebook un video con un appello a comprare il made in Israel. Tanto per chiarire quanto poco gradisse l’immagine dell’anziano leader a riposo…
Eppure – al di là del mito – pochi personaggi incarnano quanto Shimon Peres tutta la complessità (ma anche le contraddizioni) di Israele. Tutti lo ricordiamo – ad esempio – per gli Accordi di Oslo e il premio Nobel per la pace; eppure è lo stesso Shimon Peres che – da braccio destro di Ben Gurion, che lo aveva voluto nel ruolo chiave di direttore generale del ministero della Difesa – con grande determinazione negli anni Cinquanta volle per Israele l’arma atomica, con il reattore di Dimona costruito nel deserto del Neghev. Dopo Oslo, poi, innumerevoli sono stati i suoi discorsi sulla prospettiva dei due popoli e i due Stati; ma pochi ricordano che dopo la Guerra dei sei giorni (1967) la politica degli insediamenti in Cisgiordania non cominciò affatto con il Likud ma con i laburisti. Nel loro partito proprio Shimon Peres, all’epoca, era uno dei principali sostenitori di questa politica, convinto com’era che le colonie ebraiche nella Valle del Giordano sarebbero state «la prima linea di difesa» per lo Stato ebraico. Ancora: nella nostra memoria tutti accostiamo la sua immagine a quella di Yitzhak Rabin nel prato della Casa Bianca insieme a Clinton e ad Arafat nel 1993; glissando, però, sul fatto che per vent’anni i primi due si erano combattuti senza esclusione di colpi e che forse la vera pace di quel giorno fu quella tra i due contendenti del partito erede di Ben Gurion.
Per questo – nel profilo forse più sincero scritto su di lui nel 2014, quando lasciò la presidenza di Israele – l’amico Yossi Beilin, il vero artefice degli Accordi di Oslo, parlò della «trasformazione di Shimon Peres». Sì, anche per lui vale il discorso così ricorrente nella politica israeliana della figura che a un certo punto cambia radicalmente linea politica per perseguire l’impegno per la pace. Anzi: probabilmente lui è quello per il quale questo ritratto vale maggiormente. Peres per Israele è stato infatti l’uomo delle svolte; forse proprio per questo è sempre stato più amato all’estero che in patria. È stato il ministro degli Esteri con cui qualsiasi governo da Oriente a Occidente avrebbe voluto trattare; ma non è un caso che sia comunque uscito costantemente sconfitto da ogni tornata elettorale. La stessa elezione alla presidenza di Israele, nel 2007, fu una sorta di Oscar alla carriera, ottenuta da candidato unico dopo che il Likud aveva ritirato il proprio (già allora Reuven Rivlin, l’attuale capo dello Stato).
Perché, allora, tanta ammirazione nel mondo per Shimon Peres? Rappresenta forse l’illusione di un Israele che non c’è e non potrà mai esserci? Molti lo hanno anche criticato apertamente per il suo ruolo di «anima moderata» nei governi di unità nazionale. Ma si tratta di un giudizio ingiusto: Peres è stato in questi anni la sintesi più vera delle speranze e delle disillusioni in Medio Oriente. Ed ha avuto una dote rara: il coraggio di guardare comunque avanti.
Lo aveva fatto con grande ironia anche nel 2014, alla fine del suo mandato da presidente: indulgendo anche lui al vezzo del video virale da social network, a più di novant’anni si era ritratto all’ufficio di collocamento in cerca di un nuovo lavoro, con una serie di gag che giocavano sul suo mito e su alcune delle sue frasi celebri. Ma l’ultima di queste espressioni era quanto mai seria: «Sei grande quanto la causa che servi e giovane quanto i tuoi sogni». Forse è proprio questo il messaggio che anche in queste ore, da una stanza dello Sheba Medical Center, continua a comunicare.
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Leggi qui un profilo di Shimon Peres scritto su Foreign Policy da Yossi Beilin
Leggi qui un articolo sul ruolo avuto da Shimon Peres nel programma nucleare israeliano
Guarda qui il video che realizzò quando lasciò la presidenza di Israele
Perché “La Porta di Jaffa”
A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.