Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Sebaste regina di Samaria

Claire Burkel
23 settembre 2016
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Sebaste regina di Samaria
I resti della basilica crociata con il sacello (ora moschea) dove secondo la tradizione veniva venerato il corpo del Battista.

Le rovine di Sebaste non sono semplici da comprendere. Ma il pellegrino in Terra Santa non si perda questo gioiello, dove risuonano ancora le voci dei profeti Amos e Osea.


Il suo nome ebraico è Shomron, la «guardiana», la «sentinella», l’equivalente del monte Scopus a Gerusalemme, insomma. In effetti Sebaste (in arabo oggi Sebastiya) è stata costruita su un’altura. La terza e ultima capitale del regno del Nord, voluta nell’880 da Omri, sorse su un terreno vergine all’inizio del IX secolo a.C. La scelta è sensata, il colle è circondato da montagne e quindi da cavità profonde che le proteggono; la sua posizione dominante fu ben presto accentuata da sostegni artificiali. Si dice che dalla sommità del suo tempio si potesse abbracciare con lo sguardo la depressione del Giordano a est e il Mediterraneo a ovest… In questo modo Gezabele, sposa del re Acab, guardando verso nord-ovest nelle giornate serene poteva scorgere le rive della sua patria d’origine.

Fino alla metà dell’VIII secolo a.C. i successori di Omri (885-874), Acab (874-853) e soprattutto Geroboamo II (785-743) portarono avanti un’opera di ingrandimento e abbellimento della città all’interno delle sue mura a casematte: un torrione adiacente al palazzo reale, esso stesso praticamente addossato al tempio. Ne dà alcune descrizioni il suo principale detrattore, il profeta Amos. Il pastore, come lui stesso si definisce (Amos 1,1 e 7,14), sebbene originario di Teqoa, villaggio nelle campagne di Betlemme, ricevette da Dio l’incarico di parlare al potere costituito a Samaria. I suoi rimproveri sono diretti ai ricchi che sfruttano i poveri, accumulando privilegi e ingiustizie, come anche al clero.

Numerosi episodi storici si svolgono a Samaria, soprattutto con il profeta Elia, fortemente opposto al potere di Acab. «“Hai assassinato e ora usurpi! (…) Così dice il Signore: Nel luogo ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue”. Acab disse a Elia: “Mi hai dunque trovato, o mio nemico?”. Quello soggiunse: “Ti ho trovato, perché ti sei venduto per fare ciò che è male agli occhi del Signore”» (1 Re 21,19-21). Lo stesso con suo figlio Acazia (853-852; cfr. 2 Re 1,1-18).

Amos e Osea si sono probabilmente incrociati per le strade di Samaria, senza che uno menzioni mai l’altro. Entrambi i libri si aprono con la stessa indicazione cronologica: «Il quale ebbe visioni riguardo a Israele al tempo di Geroboamo, due anni prima del terremoto [733]» (Amos 1,1); «Al tempo di Geroboamo, re d’Israele» (Osea 1,1). Osea porta uno sguardo penetrante sull’Esodo, genesi di un popolo, come tempo al quale bisognerebbe tornare per ritrovare la purezza del rapporto con Dio.

Da una superficie di 10 ettari in epoca israelitica, Samaria ne contava 80 in età romana. Buona parte del suo abbellimento è dovuta agli occupanti ellenistici, coloni macedoni ivi insediati grazie alla magnanimità di Alessandro. Greci e poi romani hanno modificato e ingrandito il tempio (che in seguitò verrà dedicato ad Augusto), costruito un ippodromo, un teatro, finché dell’antica città di Omri non rimase che l’acropoli, dominante colonnati e botteghe, oltre che una basilica civile. Ottaviano Augusto offrì la città a Erode il Grande il quale, riconoscente, le avrebbe dato il nome di Sebaste, cioè Augusto in greco, stabilendovi 6 mila veterani. Tra il 193 e il 212 Settimio Severo condusse gli ultimi ampliamenti e migliorie.

In epoca bizantina Sebaste perse importanza a vantaggio della grande città di Neapolis, oggi Nablus, 10 chilometri più a sud.

Sede episcopale – conosciamo il nome del vescovo Macrino presente al concilio di Nicea del 325 –, si dotò di una cattedrale intitolata a Giovanni Battista il Precursore; ingrandita dai crociati nel 1283, la chiesa fu una delle più belle di Terra Santa, con tre navate e una cripta che era ritenuta la prigione del Battista. Infatti una tradizione risalente alla metà del IV secolo, riferita da san Girolamo, vi vedeva l’ultima residenza e il luogo di esecuzione di Giovanni perché si sapeva del legame che univa la città a Erode. D’altronde il testo di Giuseppe Flavio che colloca l’episodio a Macheronte, al di là del fiume Giordano, non era ancora conosciuto. Le sue rovine ospitano oggi una moschea intitolata a nebi Yahia, il profeta Giovanni. Le invettive di Giovanni sono talmente simili a quelle degli antichi profeti da rendere naturale il parallelo.

A sud dell’acropoli, su uno dei pianori del pendio che digrada verso la grande strada colonnata, rimangono le rovine di una piccola chiesa ugualmente dedicata a Giovanni Battista. Una minuscola cripta recava sulle pareti pitture che oggi sono andate completamente distrutte; le tracce erano state sostituite, un po’ ingenuamente, da icone moderne, anch’esse rimosse di recente.

Due passi nella Bibbia. I visitatori potranno accomodarsi sulle gradinate del teatro e declamare gli oracoli di Osea e Amos. È interessante metterli in rapporto con il passaggio del vitello d’oro nel libro dell’Esodo. Una frase infatti desta l’attenzione del lettore: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto!» (Es 32,4). Il che è ripetuto, in maniera pressoché identica, dal re Geroboamo nel 933, quando le dieci tribù del Nord si separano da quelle del Sud per formare un regno autonomo (1Re 12,28). Per allontanare il suo popolo dalla capitale giudea il re fa costruire due templi, uno a Dan all’estremo nord del proprio territorio, e l’altro a Bethel, in Samaria. Si tratta esattamente degli stessi termini, e la Storia li avrà certamente tratti dalla bocca di Geroboamo. È quindi probabile che l’inserimento di questo passaggio nell’episodio dell’Esodo sia un invito a comprendere come il peccato sia sempre molto vicino all’offerta di salvezza di cui il popolo ha appena beneficiato, anche se sono state le parole della fine del X secolo a lasciare il segno.

Entrati nella piccola chiesa medievale, i pellegrini proseguiranno la visita accompagnati da alcuni passi del Nuovo Testamento: Gesù infatti non ha evitato la regione (Vangelo secondo Luca 9,51-56) e non si è lasciato fermare dall’animosità cronica tra giudei e samaritani (Lc 10,29-37; Vangelo secondo Giovanni 4,1-42). I discepoli, in occasione della prima persecuzione subìta dalla comunità cristiana, vi trovano rifugio: «In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samaria» (Atti degli Apostoli 8,1). Prima ad essere evangelizzata, la provincia diede i natali a san Giustino, uno dei più noti apologeti cristiani, martire nel 165.

Oggi povera borgata, Sebastiya «la prospera» continua a regalare superbi scorci sulle piantagioni di ulivi che ricoprono le verdi colline di Samaria; darà ai pellegrini l’occasione di meditare sulle molteplici tentazioni della ricchezza, sul peccato del mancato riconoscimento dei doni di Dio, sulla storia d’Israele a partire dall’Esodo, riletta in chiave della misericordia senza fine del Signore.

(traduzione di Roberto Orlandi)

Terrasanta 5/2016
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