(n.h.) – Il ministro dei Trasporti israeliano Yisrael Katz nel gennaio scorso rese pubblico un progetto per la costruzione di un nuovo porto a Gaza, da creare su un’isola artificiale situata 4 chilometri e mezzo al largo dell’enclave palestinese e dotata di tutte le infrastrutture necessarie e di una pista d’atterraggio per gli aerei. L’isola sarebbe collegata alla terraferma con un ponte dotato di una postazione filtro adibita ai controlli di sicurezza. I partner internazionali coinvolti nel progetto – non menzionati per nome – si farebbero carico dei finanziamenti e della realizzazione del porto, che, nelle intenzioni, resterebbe sotto il controllo della comunità internazionale. Israele si occuperebbe della sicurezza marittima e si riserverebbe il diritto di ispezionare il porto.
Durante una recente riunione del governo israeliano, il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Avigdor Lieberman, si sono però opposti al progetto perché «non garantirebbe a Israele il totale controllo sul flusso di merci e persone in transito nel porto, neppure con quest’isola distante dalla costa».
Alti responsabili politici israeliani fanno sapere che – contrariamente a Netanyahu e Lieberman – l’esercito e i Servizi di sicurezza generale (Shin Bet) non si oppongono alla costruzione del porto. «Vi sono funzionari dei ministeri degli Esteri e delle Finanze che considerano l’idea profittevole per tutte le parti. Il ministro Katz ha chiesto al governo di poter formare una commissione incaricata di far partire il progetto, ma la sua richiesta è stata respinta», sottolinea il quotidiano Israel HaYom.
Il tema del porto era affiorato sul tavolo dei negoziati, patrocinati dall’Egitto, che condussero alla tregua tra le fazioni palestinesi (filo-Hamas) e Israele alla fine della guerra di Gaza dell’estate 2014. L’accordo raggiunto non includeva il sì israeliano alla costruzione del porto: le due parti concordarono di rinviare la questione a un nuovo ciclo negoziale da avviare un mese dopo la tregua. Sono passati due anni e ancora non se ne parla.
Il tema è stato sollevato di recente durante i colloqui di riconciliazione tra Israele e Turchia. L’accordo tra i due governi è stato raggiungo il 27 giugno scorso, ma la questione del porto di Gaza è rimasta, ancora una volta, ferma al palo.
Wadih Abu Nassar, analista politico di questioni israeliane, reputa che la creazione del porto potrebbe scongiurare un nuovo confronto militare. «Le componenti israeliane favorevoli alla nuova infrastruttura ritengono che ne beneficerebbe anche Israele, con la garanzia della calma sul fronte sud. Per contro, secondo loro, poiché il porto permetterebbe un miglioramento delle condizioni di vita dei gazawi, ridurrebbe anche le possibilità di riconciliazione tra Fatah e Hamas (i due movimenti – laico il primo, di impronta islamista il secondo – che si contendono l’agone politico palestinese – ndr). Hamas non sentirebbe più alcun bisogno di riconciliarsi con Fatah».
Walid al-Moudallal, docente di scienze politiche all’Università islamica di Gaza, è convinto che «l’Autorità Nazionale Palestinese (che è in mano a Fatah ed esercita, in parte, il controllo sulla Cisgiordania – ndr) abbia lavorato segretamente, a margine dei colloqui 2014, per impedire la costruzione del porto. I suoi dirigenti – dice – si battono contro ogni tentativo proposto da Hamas per ottenere risultati politici o sociali che potrebbero migliorare le condizioni di vita della popolazione nella Striscia di Gaza».