Come san Francesco, anche santa Chiara, che la Chiesa cattolica ricorda nella liturgia dell11 agosto, rimane fino in fondo figlia, e cittadina, d’Assisi. La sua vocazione nasce nel contesto dell’alta società assisana, a cui lei appartiene, ma la conduce verso i poveri, anche geograficamente situati più in basso, con i quali va a condividere la condizione di minorità. Il tema è sviluppato da suor Maria Chiara Riva nel libro Il canto della fede semplice (Edizioni Terra Santa, 2015) di cui qui vi proponiamo qualche brano.
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Gli inizi per la Santa di Assisi segnano dunque un movimento “in uscita” (dalla cerchia familiare, dal rango sociale, dalle tradizioni, dalla mentalità mondana), un movimento “dal centro” della piazza assisana “alla periferia” del piccolo monastero di San Damiano, e un movimento “in discesa” dall’alto della propria posizione alla pianura dove hanno casa i poveri, seguendo la via di discesa del Figlio che da ricco si è fatto povero per noi (2Cor 8,9), che «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,6-7). Chiara, con la determinazione di chi vuole aderire alla chiamata di Dio, avendo sentito nelle parole di Francesco la Parola del Signore, parte affrontando e superando una barriera che non è solo quella della porta sbarrata della sua casa o delle mura di Assisi chiuse durante la notte, ma che più profondamente è la barriera della propria condizione sociale e delle convenzioni pubbliche legate al suo essere donna e nobile. (p. 21)
La scelta di Chiara non rimane isolata: poco dopo sarà seguita da sua sorella Agnese e poi da altre giovani, che per lo più provengono dall’ambito consortile di Chiara o da famiglie dell’aristocrazia della valle spoletana. La via della povertà intrapresa è quindi fin da subito percorsa in fraternità. La reazione di contrasto suscitata dalla figlia di Favarone riguarda certamente anche i parenti delle altre: è facile pensare al subbuglio causato in Assisi da queste donne determinate a vivere il Vangelo in povertà e fraternità, dando origine a una comunità che, pur essendo in qualche modo assimilabile alla tradizione monastica quanto a una vita comunitaria organizzata nell’alternanza tra preghiera e lavoro risiedendo stabilmente nel monastero, si distanzia però evidentemente da questa riguardo allo stile, che assume una forma propria secondo la modalità della fraternitas minoritica. (p. 22)
A San Damiano Chiara trova le condizioni idonee per tradurre nella concretezza della vita il sogno evangelico. Fuori dalle mura della città, eppure sufficientemente vicino ad essa per accoglierne il respiro e per raccogliere il rumore del vivere della gente, per custodire l’eco di gioie e sofferenze, di fatiche e di speranze. Lungo la via, perché ogni pellegrino potesse trovare accoglienza e ascolto. Ai margini, in periferia, e proprio per questo nel punto più adatto a cogliere la giusta prospettiva. Vicino ai poveri, agli ultimi, agli esclusi: finestra aperta su di loro per tutti quelli che, dalla città, sarebbero scesi a incontrare le sorelle. San Damiano diventa così il luogo in cui Chiara può vivere come “sorella dei poveri”, parlando con loro il medesimo linguaggio e parlando di loro a quelli della “città alta”. Stabilendosi a San Damiano, Chiara “costringe” in un certo senso gli abitanti di Assisi a ridurre la distanza e la separazione nei confronti degli emarginati, di quelli confinati “fuori”, ponendosi come luogo di mediazione, lungo il confine, accessibile a tutti. La scelta di Chiara in un certo senso è così: liminale. Dentro il solco monastico eppure fuori dalla tradizione e dalle strutture, prossima ai poveri eppure “ritirata” e custodita nel silenzio. (pp. 26s.)