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Rio 2016, l’altra faccia dell’oro giordano

Giorgio Bernardelli
24 agosto 2016
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Anche in Israele è tempo di bilanci post-olimpici. Da Londra 2012 la squadra olimpica era tornata a bocca asciutta; a Rio s'è aggiudicata due medaglie di bronzo. Ma c'è però pure l'oro di un atleta giordano che, in qualche modo, tocca Israele e Palestina...


Come ovunque, anche in Israele in questi giorni è tempo di bilanci post olimpici. Considerato che da Londra 2012 la squadra olimpica era tornata a bocca asciutta – prima volta da Barcellona 1992 – le due medaglie di bronzo conquistate nel judo da Yarden Gerbi nella categoria donne 63 kg e da Or Sasson nella categoria uomini 100 chilogrammi sono un risultato sportivamente accettabile. Tanto più che nella storia complessiva delle partecipazioni israeliane alle olimpiadi prima dell’edizione brasiliana le medaglie erano in tutto sette: cinque bronzi, un argento e un solo oro, quello del velista Gal Friedman ad Atene nel 2004.

Dunque – tenendo presente anche che gli atleti israeliani erano in tutto 47 – nel complesso le cose non sono andate così male. Eppure – come sempre in Medio Oriente – c’è anche l’altra faccia della medaglia, che in questo caso ha un po’ il sapore di una beffa. Perché per lo sport del mondo arabo le olimpiadi di Rio saranno ricordate come quelle del primo oro in assoluto per la Giordania, conquistato nell’arte marziale taekwondo da Ahmad Abu Ghoush. Solo che si tratta di una medaglia che – lo si intuisce già dal nome – rimanda anche a Israele. Perché la famiglia del giovane medagliato del regno hashemita è originaria proprio di quell’Abu Gosh, la cittadina araba che si incontra sulla superstrada che congiunge Tel Aviv a Gerusalemme. Di Abu Gosh i pellegrini che si recano in Terra Santa conoscono soprattutto la pace dell’abbazia benedettina; ma durante la prima guerra arabo-israeliana del 1948 questa fu una delle zone dove i combattimenti furono più intensi.

Non stupisce, dunque, leggere su Yediot Ahronot che il giovane Ahmad è nato sì in Giordania, ma i suoi nonni venivano da Abu Gosh e nella cittadina conta ancora numerosi parenti che nella notte israeliana si sono ritrovati davanti alla tv a fare il tifo per lui. Lo stesso Ahmad – annota il quotidiano israeliano – di tanto in tanto torna ad Abu Gosh a fare loro visita. Miracoli di un’olimpiade: almeno per un giorno anche un arabo palestinese emigrato in Giordania non è più uno straniero, ma una gloria locale. Anche se Yediot Ahronot evita, ovviamente, di approfondire i motivi che spinsero i nonni di Ahmad a lasciare il loro villaggio natale.

Ma va bene così, se almeno per un momento i Giochi diventano un’occasione per riportare alla ribalta non solo le mancate strette di mano (tra un judoka egiziano e il suo avversario israeliano – ndr), ma anche l’intreccio inseparabile tra i popoli del Medio Oriente. E il volto umano dello sport che accomuna i popoli. Così – andando a leggere la stessa notizia su Jordan Times – tra le cronache della storica giornata per lo sport della Giordania spicca il racconto della finale vista in tivù ad Amman a casa di Ahmad. Con la mamma che confessa di non aver mai voluto assistere a nessun combattimento di taekwondo del figlio («dicono che io sia una persona forte, ma non ce la faccio…»), annuncia poi che per la finale farà un’eccezione («ma starò in un angolo a leggere il Corano») e una volta iniziato l’incontro finisce per scatenarsi nel tifo come tutti gli altri. Molte mamme di ogni latitudine potrebbero raccontare la stessa esperienza…

Tornando a Israele e alle Olimpiadi da segnalare, infine, il bel gesto di solidarietà della judoka Yarden Gerbi che ha scelto di mettere all’asta su ebay il pettorale con cui ha gareggiato a Rio e destinare i proventi a un centro di oncologia pediatrica. Ricordando una sua recente visita alla struttura, l’atleta ha spiegato la sua scelta dicendo che sono loro «i veri eroi che lottano ogni singolo giorno per conservare la gioia di vivere».

Clicca qui per leggere sul sito di Yediot Ahronot la notizia su Abu Ghoush

Clicca qui per leggere la notizia su Jordan Times la notizia su Abu Ghoush

Clicca qui per leggere la notizia su Yarden Gerbi

Clicca qui per leggere una serie di curiosità sulla squadra israeliana alle Olimpiadi

 


 

Perché “La Porta di Jaffa”

A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

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