(g.s.) – La mattina del 29 luglio, durante il suo viaggio in Polonia per partecipare alla Giornata mondiale della Gioventù di Cracovia, Papa Francesco si è recato a visitare il memoriale del campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau.
Il suo è stato un pellegrinaggio commosso e silenzioso, fatto di riflessione e preghiera personale. Alla vigilia del viaggio il Papa aveva auspicato di ricevere qui il dono delle lacrime. E forse le avrà avute mentre da solo sostava per lunghi minuti nella semioscurità della cella in cui fu lasciato morire san Massimiliano Kolbe, che proprio 75 anni prima in quello stesso giorno veniva rinchiuso in quelle quattro mura che avrebbe lasciato solo da morto, due settimane più tardi.
Il 27 luglio, dalle colonne dell’Osservatore Romano, il rabbino Avraham Skorka, amico personale del Papa, ha spiegato il senso di questo silente pellegrinare in un luogo di indicibile orrore.
«Bergoglio – scrive Skorka – pensa che, nel luogo stesso del massacro, le sue parole sarebbero troppo riduttive per esprimere le sensazioni che lo stanno già pervadendo al solo pensiero della sua presenza lì. (…) Nel dolore, dice il testo delle Lamentazioni (3, 28), l’uomo deve sedersi e restare in silenzio. Il silenzio si deve esprimere spesso, come negli episodi biblici menzionati, quel silenzio che trascende le parole. Quando il dolore è grande il grido resta soffocato nella gola».