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Dove riposava Filippo

Giuseppe Caffulli
12 luglio 2016
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Dove riposava Filippo
Le rovine della basilica con la tomba dell'apostolo che si affaccia sulla navata centrale. (foto F. D'Andria)

Nell'antica Hierapolis di Frigia, in Turchia, c'è un complesso monumentale che fa memoria del martirio dell'apostolo Filippo. Le scoperte di una missione archeologica italiana.


Appena superati i resti dell’imponente cattedrale che si affaccia sulla via di Frontino, la via colonnata che collegava l’Arco di Domiziano alla Porta meridionale, una strada si distacca perpendicolarmente e punta verso ciò che resta delle mura e della porta settentrionale. Al di là della cinta muraria, un avvallamento, un edificio che gli archeologi ritengono essere una zona termale, e una scalinata in pietra, che conduce al complesso del Martiryum di Filippo.

Siamo a Hierapolis di Frigia (oggi Pammukale, in Turchia), città ellenistica fondata da Eumene II re di Pergamo, divenuta famosa per le sue acque termali e per i suoi filati. Ceduta a Roma nel 133 a.C., venne distrutta nel 60 d.C. e riedificata più maestosa che mai, meta ambita di villeggiatura e commercio fino al VI secolo.

Nell’80 d.C, a Hierapolis si consuma il martirio dell’apostolo Filippo. Secondo alcune fonti apocrife, poi riprese nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, Filippo sarebbe giunto a Hierapolis dopo aver predicato il Vangelo per vent’anni in Scizia, a fianco delle sue due figlie. Anche nella città sacra ad Apollo e sede di un oracolo molto importante, Filippo avrebbe convertito molti al cristianesimo, perfino la moglie del proconsole romano. Il quale non gradì affatto e lo fece inchiodare a un albero a testa in giù. Nel punto esatto del martirio – secondo le fonti antiche – nacque un culto legato alla sua memoria. Molti viaggiatori e religiosi dei secoli successivi, tra i quali Eusebio di Cesarea, citano nei loro scritti la tomba dell’apostolo guaritore. Policrate di Efeso, vescovo di Efeso nella seconda metà del II secolo, scrisse, in una lettera indirizzata a papa Vittore I, il seguente passo: «Filippo, uno dei dodici apostoli, riposa a Hierapolis con due sue figlie che si serbarono vergini tutta la vita, mentre la terza, vissuta nello Spirito Santo, è sepolta a Efeso».

A Hierapolis scava una missione archeologica italiana, guidata dal professor Francesco D’Andria. Pugliese, classe 1943, laureato all’Università Cattolica di Milano in Lettere classiche e specializzatosi poi in Archeologia, lo studioso è docente di archeologia all’Università del Salento-Lecce e direttore fino al 2013 della Scuola di specializzazione in Archeologia della stessa università. Da oltre trent’anni lavora a Hierapolis, alla ricerca della tomba di San Filippo e dal 2000 è direttore di quella missione scientifica.

«La tradizione della presenza dell’apostolo Filippo in città – spiega – è molto antica. Una tradizione già consolidata nel II secolo, quindi pochi decenni dopo la morte. A Hierapolis la ricerca archeologica sul terreno è stata portata avanti dalla missione archeologica italiana fondata nel 1957 da un ingegnere del Politecnico di Torino, il prof. Paolo Verzone. Tramite le fonti letterarie aveva identificato il Martyrion, cioè una chiesa ottagonale costruita sopra un luogo che evidentemente conservava delle memorie. Però, le ricerche di Verzone non hanno portato alla scoperta della tomba e anche io, per molto tempo, non ho trovato nulla…».

Dopo anni di ricerche, nell’agosto 2011, la svolta, anche grazie all’aiuto della tecnologia. «I miei collaboratori ed io – racconta D’Andria – abbiamo studiato attentamente una serie di foto satellitari della zona, e le ricognizioni di un gruppo di topografi del Centro nazionale delle ricerche diretti da Giuseppe Scardozzi. Abbiamo capito che il Martyrion, la chiesa ottagonale, era il centro di un complesso devozionale ampio e articolato, dotato di stanze per i pellegrini. Abbiamo in seguito identificato un altro edificio ottagonale, che non si vedeva in superficie, ma solo delle foto satellitari. Intorno a quell’edificio è emerso un complesso termale: i pellegrini che arrivavano a Hierapolis per rendere omaggio al corpo di San Filippo, prima di raggiungere il Martyrion sulla collina, dovevano purificarsi. Anche per ragioni igieniche perché i viaggi che affrontavano erano lunghi e massacranti».

La scoperta dell’area termale, spiega l’archeologo, diventa dunque fondamentale per guardare a tutta l’area in una nuova ottica. «Continuando i nostri scavi – spiega – abbiamo trovato un’altra scalinata che arrivava direttamente al Martyrion. In uno spiazzo accanto, c’era una fontana dove i pellegrini facevano altre abluzioni, e lì vicino, un piccolo pianoro con tracce di altri edifici. Il professor Verzone non aveva potuto affrontare lo scavo in quella zona perché era un’immane cumulo di pietre. Nel 2010 abbiamo iniziato a scavare e sono venute alla luce cose interessanti: un’architrave di marmo di un ciborio con un monogramma sul quale si legge il nome di Teodosio. In un primo tempo pensavamo fosse l’imperatore. Ora sappiamo che si tratta del vescovo Teodosio, perché abbiamo trovato l’iscrizione dedicatoria dell’altare in marmo in cui è indicato come vescovo metropolita; a lui, vissuto nella seconda metà del VI sec., si deve infatti la monumentalizzazione della chiesa sul sepolcro di Filippo. E poi, tracce di un’abside. Scavando è venuta alla luce la pianta di una grande chiesa a pianta basilicale, con tre navate, con capitelli in marmo, raffinate decorazioni, croci, transenne traforate, fregi, tralci vegetali, palme stilizzate all’interno di nicchie e un pavimento centrale realizzato a intarsi marmorei con motivi geometrici a colori. E al centro, una straordinaria sorpresa».

Il professor D’Andria si emoziona ancora nel ricordare la scoperta: «Una tipica tomba romana risalente al primo secolo dopo Cristo. La sua presenza poteva, in un certo senso, essere giustificata dal fatto che in quella zona, prima che i cristiani costruissero il santuario proto-bizantino, vi era una necropoli romana. Ma esaminando bene la sua posizione, abbiamo verificato che proprio quella tomba romana si trovava al centro della chiesa. Insomma, la chiesa era stata costruita intorno a quella tomba, per isolarla, proteggerla. Quale altro motivo ci poteva essere se non che fosse la sepoltura di san Filippo dopo la morte?».

Quella che per la missione italiana è una conferma, arriva poco dopo. «Nell’estate del 2011 abbiamo proseguito gli scavi e sono emersi elementi straordinari che hanno pienamente confermato le nostre supposizioni. La tomba era inglobata in una struttura sulla quale vi è una piattaforma raggiungibile attraverso una scala di marmo. I pellegrini, entrando dal nartece, il vestibolo esterno alla chiesa, salivano la parte superiore della tomba, dove vi era un luogo per la preghiera e scendevano dal lato opposto. E abbiamo visto che le superfici dei gradini di quelle scale marmoree sono completamente consunti dal passaggio di migliaia e migliaia di persone. Quindi, la tomba riceveva un tributo straordinario di venerazione. Sulla facciata della tomba, intorno all’entrata, si vedono dei fori di chiodi che certamente servivano per sostenere una chiusura metallica applicata. Inoltre, vi sono degli incassi ricavati sul pavimento che fanno pensare a una ulteriore porta in legno: tutti accorgimenti che indicano come in quella tomba vi fosse un tesoro inestimabile, cioè il corpo dell’apostolo».

Sulla facciata del piccolo edificio, ecco poi affiorare numerosi graffiti con croci, a indicare ulteriormente la sacralità del luogo. «Ma la conferma principale circa la corretta attribuzione del luogo come quello della sepoltura di san Filippo ci è venuta da un piccolo oggetto che si trova in un museo di Richmond negli Stati Uniti, e che proviene appunto da Hierapolis. Un oggetto sul quale ci sono delle immagini che ora appaiono chiare. È un sigillo in bronzo di circa dieci centimetri di diametro, che serviva per autenticare il pane di san Filippo da distribuire ai pellegrini. Sul sigillo appare la figura di un santo con il mantello del pellegrino e una inscrizione che recita “San Filippo”. Sul bordo scorre il trisaghion in greco («Santo Dio, Santo forte, Santo immortale, abbi pietà di noi»). La figura del santo è rappresentata tra due edifici: quello alla sinistra, è coperto da una cupola, e si capisce che rappresenta il Martyrion ottagonale; quello alla destra, con un tetto a due spioventi, è la chiesa che ora noi abbiamo scoperto. Particolare importantissimo: la chiesa con il tetto spiovente ha una lampada appesa all’ingresso, a indicare il sepolcro di un santo. Quindi, già in quel sigillo si indica che la tomba si trovava nella chiesa basilicale e non nel Martyrion, che è sorto probabilmente sul luogo dell’uccisione ma non ha mai custodito le spoglie del santo. Un’ultima conferma, ci arriva da un’iscrizione in greco lasciata da un pellegrino e ritrovata di recente nei pressi della tomba: “Servo dell’apostolo Filippo”».

Anche quest’estate il professor D’Andria sarà a Hierapolis per seguire i lavori del sito e i restauri del vicino teatro. «Stiamo comunque portando avanti il restauro della tomba. Grazie alla Kaplan Foundation di New York e al suo direttore Ken Lustbader abbiamo potuto restaurare il templon e le colonne intorno all’altare, i pavimenti in marmo e l’aghiasma, ossia la fontana per le abluzioni all’ingresso della chiesa. Altra scoperta recente, l’identificazione degli acquedotti che portavano l’acqua al Martyrion. Il culto di Filippo era taumaturgico, di cura; e aveva proprio nell’acqua un elemento essenziale. Soprattutto le due vasche a fianco della tomba, nella navata centrale, dove i pellegrini potevano immergersi per implorare la grazia della guarigione».

«La scoperta della tomba di Filippo – conclude D’Andria – ha fatto il giro del mondo. È rinato anche un intenso fenomeno di pellegrinaggio; lo stesso anno della scoperta, il 14 novembre 2011, giorno della panegyris (il dies natalis, che corrisponde alla data del martirio) dell’apostolo, Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, ha voluto visitare il sito, celebrando la Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo. In un clima di straordinaria suggestione, risuonavano dopo più di mille anni i canti bizantini tra le rovine della ritrovata basilica di Filippo!».

 


 

Le relique dell’Apostolo? Da 1.500 anni a Roma

Di Filippo, dai Vangeli, non sappiamo granché. Si sa che era originario di Betsaida, sul Lago di Galilea. Apparteneva quindi a una famiglia di pescatori. Giovanni è l’unico dei quattro evangelisti che lo cita diverse volte. La maggior parte degli antichi documenti afferma che Filippo morì martire a Hierapolis, nell’anno 80 dopo Cristo, a 85 anni.

Già nel VI sec. alcune reliquie dell’apostolo furono trasferite a Costantinopoli. I cronisti medievali riferiscono della loro presenza in una cappella del palazzo imperiale. Da qui, forse per intervento di papa Pelagio, le reliquie furono portate a Roma, dove venne edificata la Basilica Apostolorum.

Lo scorso 5 aprile è stata effettuata una ricognizione sui resti del Santo custoditi nella cripta della basilica, alla presenza della comunità dei frati minori conventuali e del ministro generale fra Marco Tasca. L’ostensione delle reliquie (insieme a quelle di Giacomo) si è protratta fino al 15 maggio. Alla ricognizione del 5 aprile era presente anche il professor D’Andria. A Nazareno Gabrielli, già dirigente del Gabinetto di ricerche scientifiche dei Musei Vaticani, è stato attribuito l’incarico di esaminare le reliquie dell’apostolo martirizzato sulle colline di Hierapolis di Frigia.

Terrasanta 4/2016
Luglio-agosto 2016

Terrasanta 4/2016

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