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Da Gaza la radio di chi non s’arrende

Chiara Cruciati
7 luglio 2016
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Da Gaza la radio di chi non s’arrende
Osama Abu Safer nello studio di Radio Al-Erada. (foto C. Cruciati)

Chi si sintonizza sui 100.1 fm a Gaza entra nel mondo di Forsan Al-Erada. Nei suoi studi lavorano persone con disabilità. È la prima esperienza del genere in Medio Oriente.


Sei a Gaza, accendi la radio e ti sintonizzi sul 100.1 fm. Ed entri nel mondo di Forsan Al-Erada (che in italiano tradurremmo con Radio Forte volontà). Un nome scelto non a caso: qui negli studi di Deir al-Balah ad intrattenere il pubblico gazawi sono persone con disabilità, la prima esperienza di questo tipo in Palestina e in Medio Oriente.

«La radio è stata fondata nel 2006 come risposta a sei anni di intifada che a Gaza si è tradotta in un aumento del numero di disabili». Osama Abu Safer ci fa da guida tra le varie stanze dell’ufficio, ci presenta conduttori, fonici e tecnici, muovendosi veloce con la sua sedia a rotelle: è qui da 10 anni, dal giorno in cui l’emittente si fece spazio tra le frequenze palestinesi. «All’epoca alcune organizzazioni locali impegnate nel campo della disabilità decisero di aprire questa radio con l’obiettivo di dare voce alle esigenze di chi soffre di una qualsiasi forma di disabilità – ci spiega –. La metà dei programmi che trasmettiamo si occupa proprio di questo. Il resto? Musica, intrattenimento, attualità. Ci seguono in tanti perché la nostra è una radio come le altre, ma con un elemento in più: creare maggiore consapevolezza sulla questione della disabilità».

Un tema caldo in un paese costantemente preda di violenze, scontri, attacchi militari, dove in molti non nascono disabili ma lo diventano, perdendo in un attimo quel minimo di indipendenza che può concedere una vita sotto occupazione. A fare da ostacolo è anche la percezione che la società palestinese ha tuttora della disabilità, pregiudizi che in molti casi relegano il disabile in un angolo, lo privano della possibilità di essere parte integrante e attiva della propria comunità.

I dipendenti sono 26, la metà con disabilità motorie o visive. Si va in onda dalle 8 del mattino alle 8 di sera, elettricità permettendo: «Prima dell’inizio dell’assedio israeliano [nel 2008] lavoravamo 24 ore su 24. Siamo stati costretti a ridurre a causa dei blackout dovuti alla mancanza di elettricità e carburante per i generatori imposta da Israele».

Osama, di un’allegria travolgente, si muove con destrezza da uno studio all’altro: sa fare tutto, ci dice, dal montaggio all’audio. Competenze che si è costruito da solo: «Le opportunità per un disabile di studiare media e informazione all’università sono scarse. Ho fatto esperienza qui dentro, con i training gestiti dalla Bbc e da al-Jazeera».

Ci spostiamo in uno degli studi di registrazione: Magdulin è pronta di fronte al microfono. Si occupa di preparare i contenuti dei programmi della radio. Osama la prende in giro («Fruga sempre tra le notizie di gossip»), lei ride. «Questa radio mostra al mondo fuori che quella dei disabili è una comunità attiva – spiega Magdulin –. È sufficiente far sentire la propria voce. Io mi occupo molto di donne con disabilità, ma non solo: la radio tratta qualsiasi tipo di argomento perché il nostro scopo è mostrare che siamo parte integrante della società. Tanti dei nostri ascoltatori non sanno neppure che dietro i microfoni ci sono dei disabili e quando lo scoprono ne restano stupiti. È il modo migliore per abbattere certi pregiudizi».

Con il tempo si sono aperte altre porte: il comune di Deir al-Balah e le università di Gaza hanno avviato progetti comuni e campagne di sensibilizzazione per l’accessibilità nei luoghi pubblici e privati. Campagne di successo: compagnie private come la Banca di Palestina o le società di telecomunicazioni PalTel e Jawwal hanno reso i propri uffici accessibili proprio grazie ad una simile lobby. E, in collaborazione con Forsan Al-Erada, l’Università di Palestina ha introdotto borse di studio per persone con disabilità: «Pur essendo una realtà piccola siamo riusciti a diventare un modello per tanti. E, nonostante blackout e orari ridotti a causa della poca elettricità, secondo una ricerca del 2012, in media ci seguono 100 mila gazawi al giorno», aggiunge Osama.

Quel numero è oggi in costante aumento grazie alla rete: dal 2013, grazie al sito web dell’emittente, è possibile seguire i programmi radio in streaming, anche dalla Cisgiordania prima inaccessibile per le frequenze di Radio Al-Erada. E si guarda oltre: tra gli obiettivi per il futuro ci sono la creazione di un canale satellitare che tratti la questione e un centro ricerche che documenti e monitori le attività promosse da persone con disabilità.

Tra queste c’è il programma di peer counselling (consulenza alla pari – ndr) dell’organizzazione non governativa italiana EducAid. Osama è una delle 12 persone selezionate per fornire supporto psicosociale a persone con disabilità, in particolare a coloro che hanno acquisito la propria disabilità in seguito all’operazione militare israeliana del 2014, Margine Protettivo, e che a causa di ciò hanno vissuto un drammatico cambiamento nella propria vita.

L’intuizione alla base del peer counselling è quella di supportare le persone nel proprio percorso verso l’autonomia e nell’aiutarle ad essere più consapevoli e pronte a fare delle scelte, a risolvere situazioni e problemi che le coinvolgono direttamente. Per fare ciò dovranno sconfiggere, prima di tutto, gli ostacoli che essi stessi si pongono all’interno della società di appartenenza: «Attraverso lo scambio di esperienze e l’emersione del vissuto personale, i partecipanti si confrontano fra loro e con il consulente, un modello positivo e di emancipazione – ci spiega Lorenza Sebastiani, che per EducAid è a capo del progetto Peer Resilience, finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo –. Simili incontri permettono sia di far emergere le reali necessità delle persone con disabilità sia di fornire loro il sostegno necessario a diventare o tornare parte attiva della comunità».

I bisogni non mancano: dopo i due mesi di bombardamenti israeliani di due anni fa, 11 mila persone sono rimaste ferite. Tra loro 3.374 bambini.

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