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Autoanalisi di un esercito occupante

Manuela Borraccino
7 luglio 2016
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Autoanalisi di un esercito occupante

Appena pubblicato in Israele, questo libro - che raccoglie testimonianze di ex militari - ha sollevato un dibattito incandescente sulle regole d'ingaggio dei soldati israeliani nei Territori palestinesi.


È anzitutto un durissimo atto d’accusa contro la vera natura e i metodi operativi dell’occupazione. Ma questa antologia di 145 testimonianze di soldati israeliani che hanno operato nei Territori palestinesi occupati, raccolte tra il 2000 e il 2010 dall’associazione Breaking the Silence, è anche espressione della forza e della vitalità della democrazia israeliana, capace di passare dall’autocensura all’autoanalisi, e all’azione sociale per il ritiro dai Territori palestinesi.

Breaking the Silence è stata fondata da un gruppo di veterani nel 2004, in piena Seconda intifada: dallo scoppio della rivolta, nel settembre 2000, al 2010 sono stati uccisi più di mille israeliani e seimila palestinesi. Il libro, che ora esce anche in italiano, contiene solo una parte delle oltre 700 interviste raccolte in poco più di un decennio dall’associazione. Nessuna di esse è mai stata smentita. Del resto, benché sotto forma di anonimato, la loro pubblicazione viene autorizzata dall’ufficio militare per la censura: per questo non è stato mai possibile mettere a tacere o inquisire chi descrive la cruda logica di come siano stati eseguiti ordini di omicidi mirati ed esecuzioni senza capi d’accusa, appropriazioni di terre, demolizioni di case, arresti arbitrari, saccheggi, atti di vandalismo sulle persone e i beni, installazione di check-point che separano i palestinesi dalle loro comunità e proprietà.

L’obiettivo del volume è quello di uscire dall’ambiguità del linguaggio in codice dell’esercito israeliano e chiamare con il loro nome le quattro linee politiche sottese all’occupazione: così si evince come la «prevenzione del terrore» nella prima parte del volume si traduca di fatto in azioni offensive che mirano a rafforzare il controllo sulla popolazione palestinese. «Ho fatto rapporto, ma non è servito», dice un soldato dopo aver assistito al pestaggio di un palestinese immobilizzato. La seconda parte parla di come la «separazione» fra israeliani e palestinesi comporti l’annessione di interi terreni arabi: «per me era davvero difficile assistere allo sradicamento di piantagioni di fichi o di uliveti: c’erano persone anziane, coltivatori per i quali questi alberi sono cibo», racconta un altro militare.

La terza parte del volume dice di come l’occupazione determini distruzione del «tessuto vitale» palestinese con posti di blocco per limitare i movimenti, perquisizioni per «intralciare e tormentare», campi di detenzione temporanei dei quali pochi conoscono l’esistenza. Illuminanti anche le testimonianze della quarta parte, dedicata al «doppio regime» giuridico in vigore in Cisgiordania a seconda che le leggi si applichino ai palestinesi o ai coloni, che produce ormai anche una frattura all’interno di Israele fra i cittadini che vivono all’interno della Linea Verde e il mezzo milione di ebrei che occupa illegalmente, secondo la comunità internazionale, i Territori. Fino alla descrizione dell’occupazione a Hebron, “uno schiaffo che brucia” o all’uso del termine Aktion, lo stesso usato dai nazisti nelle loro operazioni, per indicare le perquisizioni periodiche nei campi profughi e le distruzioni delle porte delle case “per addestrarci a far saltare in aria le cose”.

Come ricorda nella Prefazione l’anglista Alessandro Portelli, che nel 2014 ha promosso l’edizione italiana del libro, la rottura del silenzio (breaking the silence) sulle esperienze vissute e taciute è innanzitutto una sfida alla narrativa ufficiale diffusa da istituzioni e media.

Un libro come La nostra cruda logica spiega perché Breaking the Silence sia divenuta «la più odiata tra le associazioni pacifiste israeliane», stando alle parole di Akiva Eldar (il cui best-seller sulle colonie, Lords of the Land – edito nel 2007 -, viene citato da uno dei soldati tra le letture che circolano durante i turni di guardia), visto che mette in discussione la condotta dell’esercito, violando uno dei tabù dello Stato di Israele.

Questo pagine, che hanno già sollevato un dibattito incandescente sulle regole d’ingaggio dei soldati israeliani di stanza nei Territori occupati, sono una lettura imperdibile per chiunque abbia a cuore la democrazia in Israele e la soluzione della questione palestinese.

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