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Rukban, un’altra frontiera sigillata

Carlo Giorgi
21 giugno 2016
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Rukban, un’altra frontiera sigillata
Con questa successione di foto dal satellite scattate in vari periodi, Irin documenta l'incremento dei profughi nella terra di nessuno tra Siria e Giordania a Rukban. Un agglomerato di teloni blu e tende funge da rifugio improvvisato.

Nell'accampamento di Rukban, sul confine tra Giordania e Siria, quest'oggi lo scoppio di una bomba ha fatto molte vittime. In quel lembo di terra sono decine di migliaia i profughi abbandonati a se stessi.


Un’auto bomba è esplosa questa mattina a Rukban, sul confine tra Giordania e Siria, dove da mesi sono accampate decine di migliaia di profughi in fuga dalla guerra. L’ordigno ha fatto purtroppo diverse vittime, causando la morte di 6 soldati giordani e14 civili.

Perché una bomba in un campo profughi e come mai proprio a Rukban?

Rukban è uno sconosciuto posto di blocco giordano al confine con la Siria. Nessuna città nell’arco di decine di chilometri, niente acqua, niente vita. Solo deserto, vento cocente e una linea di confine – diritta come un righello – tracciata cento anni fa, nel 1916, in seguito a un accordo tra le potenze coloniali d’allora, Francia e Gran Bretagna.

Rukban però, non è un posto di confine qualsiasi: è invece l’equivalente di Idomeni in Grecia o Dunkerque in Francia: luoghi dove vivono, o hanno vissuto, decine di migliaia di migranti, in condizioni di vita paurose. Sostenuti solo dalla speranza di poter attraversare finalmente il confine e raggiungere un futuro migliore.

Dalla frontiera di Rukban, nei recenti anni di guerra, sono sempre passati civili siriani in fuga. A metà del 2014 però la Giordania – avendo già accolto 650 mila profughi – decide di bloccarne il passaggio. Così le persone che raggiungono il valico di frontiera giordano devono fermarsi; e, nella speranza di passare prima o poi, piantano lì la loro tenda. Tra i due fossati che segnano il confine tra la parte giordana e quella siriana c’è una «terra di nessuno» larga circa 2 chilometri. Qui, e nella vicina località di Hadalat, dal 2014 si è creato un enorme campo spontaneo di profughi che ha ormai raggiunto le 60 mila presenze. Un gigantesco caotico agglomerato umano che secondo le agenzie umanitarie entro la fine dell’anno potrebbe arrivare ad ospitare 100 mila persone, superando per dimensioni il più grande campo profughi giordano gestito dalle Nazioni Unite, quello di Zaatari, che ne ospita oggi 80 mila.

Secondo Irin, agenzia d’informazione indipendente sul tema delle migrazioni, la situazione a Rukban sta diventando sempre più grave. Questa comunità di fuggitivi vive in un territorio privo di acqua corrente, ambulatori, scuole, e una pur minima riconosciuta autorità che possa mantenere l’ordine e far rispettare il diritto. Le autorità di Amman, infatti, si tengono al di qua del confine giordano, dove termina ufficialmente la loro giurisdizione. In assenza di legge, nel campo avvengono risse e crimini violenti che non vengono perseguiti. Le organizzazioni umanitarie, dal canto loro, non entrano perché non c’è chi possa garantire l’incolumità dei loro operatori. Rimangono dalla parte giordana, da dove gestiscono l’emergenza alimentare e sanitaria. Al confine viene portata l’acqua con delle autobotti; pacchi alimentari vengono distribuiti ogni due giorni. I profughi vengono a prenderli e li portano nella «terra di nessuno», dove sono costretti a vivere. Suhreya, 42 anni, siriana di Aleppo, ha trascorso quattro mesi con i suoi sei figli sul confine, prima che le autorità giordane la lasciassero entrare nel Paese. «La situazione a Rukban è particolarmente difficile – racconta la donna a Irin –. Nel campo ci sono bande che controllano e rubano ogni cosa. Io ero sola con i miei figli, perché mio marito è rimasto in Siria. Senza protezione ero davvero terrorizzata».

Dal mese di marzo il governo di Amman, nel tentativo di diminuire la tensione a Rukban, ha iniziato a far entrare in Giordania ogni giorno alcune centinaia di siriani su cui viene mantenuto comunque un controllo molto severo. Infatti questi profughi vengono tutti portati nel campo di Azraq, gestito dalle Nazioni Unite. Un campo che si trova proprio al centro della Giordania, a 50 chilometri dalla capitale Amman. I nuovi arrivati vengono tutti alloggiati in un settore del campo, chiamato «villaggio 5», separato dal resto del campo, recintato e gestito con criteri di grande severità. Secondo gli operatori umanitari che amministrano Azraq, però, i posti disponibili nel «villaggio 5» (oltre 10 mila) sono da poco terminati e non è più possibile accogliere nessuno. Questo ha indotto le autorità a diminuire gli ingessi in Giordania provenienti da Rukban. Ciò, in prospettiva, non può che causare un aumento delle persone costrette a rimanere nel disumano campo sul confine.

Tanta prudenza da parte della Giordania a proposito di migranti non deve sorprendere. Il rischio di ingresso di esponenti del sedicente Stato islamico nei suoi confini, nascosti nel flusso di famiglie e civili inermi, è molto alto e la bomba di oggi nel campo di Rukban sembra quasi una risposta alla severa politica di Amman in fatto di ingressi; ed è la prova che gli attacchi dei terroristici sono un rischio sempre attuale. Solo due settimane fa, il 6 giugno (primo giorno di Ramadan), un attentato alla sede dei servizi segreti giordani nel campo profughi palestinese di Baqaa, vicino ad Amman, ha causato cinque morti. Si sospetta che l’autore possa essere un esponente o un simpatizzante dello Stato islamico.

Clicca qui per scaricare una foto scattata dai satelliti delle Nazioni Unite che documenta l’assembramento di profughi nell’area di Rukban, lungo la frontiera giordano-siriana (immagine con didascalie e mappa in inglese e in formato pdf).

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