Lo scorso 12/13 giugno gli ebrei hanno celebrato la festa di Shavuot (o delle Settimane), che cade 50 giorni dopo Pesach (la Pasqua) e celebra il dono della legge di Dio al popolo eletto.
Festa molto sentita anche tra i samaritani (dal vocabolo ebraico shomrim, «gli osservanti»), il cui testo sacro è unicamente il Pentateuco (la Torah giudaica) e nessun altro libro della Bibbia ebraica.
Nella Bibbia la festa di Shavuot è associata con la raccolta delle primizie del grano e della frutta e la loro donazione al Tempio come espressione di ringraziamento al Creatore. Così i samaritani pellegrinano al loro monte santo, il Garizim. Si calcola che i samaritani – che gli ebrei non considerano parte del loro popolo – non siano oggi più di 700. Vivono per lo più concentrati alle pendici della loro montagna sacra, che si erge non lontano dalla città palestinese di Nablus, la biblica Sichem. Un altro gruppo risiede a Holon, centro urbano poco a sud di Tel Aviv.
È sul Garizim e non a Gerusalemme che i samaritani hanno sempre posto, fino ad oggi, il centro della loro vita liturgica e cultuale. Presso quel monte ogni anno a Pasqua i samaritani sacrificano gli agnelli, seguendo le prescrizioni bibliche e in modo analogo a quello in uso tra gli ebrei quando esisteva il Tempio di Gerusalemme. Anche i samaritani sono monoteisti. Considerano Mosè l’unico e vero profeta. Al vertice della loro comunità religiosa c’è il sommo sacerdote, che è uno degli anziani.