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A Creta si è aperto il Concilio pan-ortodosso

Giuseppe Caffulli
21 giugno 2016
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A Creta si è aperto il Concilio pan-ortodosso
L'apertura dei lavori conciliari presso l'Accademia ortodossa di Creta. (foto: Chiesa ortodossa polacca/Jaroslaw Charkiewicz)

La suprema assemblea delle Chiese ortodosse si è aperta regolarmente il 20 giugno a Creta, nonostante la defezione di alcune Chiese, a cominciare da quella di Mosca. I problemi aperti.


Avrebbe dovuto essere un Concilio pan-ortodosso. Alla fine, nonostante lo si dica sottovoce, sarà una conferenza episcopale o poco più.

Quello che si tiene a Creta dal 20 al 26 giugno si segnala, a quanto sembra, come l’ennesima rappresentazione plastica di un dissidio profondo, che non riesce a svincolarsi dalle sue pastoie storiche. L’assemblea di Creta, nata per riunire in un Santo e grande concilio della Chiesa ortodossa i vescovi di tutte le Chiese autocefale che compongono attualmente l’Ortodossia (patriarcato di Costantinopoli, patriarcato di Alessandria, patriarcato di Antiochia, patriarcato di Gerusalemme, patriarcato di Mosca, patriarcato di Georgia, patriarcato di Serbia, patriarcato di Romania, patriarcato di Bulgaria; e, ancora, le Chiese di Cipro, di Grecia, di Polonia, di Albania, delle terre Ceche e di Slovacchia, guidate da un arcivescovo o un metropolita), ancora una volta segna la separazione tra Chiese di tradizione bizantina e Chiese di tradizione slava (ad eccezione di Antiochia). Queste ultime ben più numericamente importanti delle Chiese sorelle che si rifanno a Costantinopoli e ben determinate a far valere alcune prerogative (anche politiche) che da secoli ormai contrappongono Mosca e Bisanzio. Con il risultato di aver fatto saltare il banco e di disertare l’assemblea sinodale di Creta, pur con diverse motivazioni.

Ma come nasce l’idea di un concilio pan-ortodosso? Qual è la sua importanza e il suo ruolo? E chi ha lavorato per far naufragare l’iniziativa?

La convocazione del Concilio panortodosso, secondo le norme canoniche, è affidata al patriarcato ecumenico di Costantinopoli, primus inter pares. La preparazione della massima assise ortodossa è iniziata poco dopo la metà del secolo scorso e vi ha lavorato un segretariato apposito con sede a Chambésy (Svizzera). Attraverso numerose conferenze pre-sinodali e riunioni da parte di svariate commissioni preparatorie, si era giunti finalmente alla redazione di un documento condiviso. Grandi figure come Atenagora e Dimitrios – avvicendatisi sulla cattedra di Costantinopoli nel secolo scorso – hanno lavorato al progetto del Concilio pan-ortodosso. Ma l’impulso decisivo si è avuto in anni recenti solo con il patriarcato di Bartolomeo I di Costantinopoli. La chiave di volta è stata l’istituzione di un nuovo organismo: la Sinassi dei primati delle Chiese ortodosse autocefale. La convocazione di queste riunioni straordinarie (iniziate nel 1992) ha dato un impulso decisivo al processo di convocazione e ha offerto la possibilità di discutere temi di attualità o di particolare interesse inter-ecclesiale al massimo livello della gerarchia ecclesiastica.

E proprio la Sinassi del 2014 ha permesso l’annuncio del Concilio pan-ortodosso per la Pentecoste del 2016. Nella Sinassi del 21- 28 gennaio scorso era stata confermata la decisione e s’era modificato il luogo della convocazione: non più Istanbul (come previsto inizialmente), ma Chanià, sull’isola di Creta, presso la locale Accademia teologica, situata sotto la giurisdizione del patriarcato ecumenico. Sempre a gennaio erano stati pubblicati i sei documenti preparatori del Concilio: La missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo; La diaspora ortodossa; L’autonomia [delle singole Chiese Ortodosse locali] e la modalità della sua proclamazione; Il sacramento del matrimonio e i suoi impedimenti; L’importanza del digiuno e la sua osservanza oggi; Relazioni della Chiesa Ortodossa con tutto il restante mondo cristiano.

Dai lavori sono stati stralciati tre temi che non hanno avuto il consenso comune nella Sinassi: il tema dell’autocefalia e la sua proclamazione; i «dittici» (il grado di dignità delle Chiese ortodosse); il calendario liturgico (cioè la questione della non contemporaneità tra calendario giuliano e gregoriano).

Il sogno di un cammino sinodale all’interno dell’Ortodossia, manifestato dal patriarca di Costantinopoli, appare però oggi di molto ridimensionato. Cosa è successo? Man mano che si avvicinava la data d’apertura del Concilio panortodosso, si sono acuite le tensioni e sono riemerse le divergenze. Le frange conservatrici presenti in quasi tutte le Chiese ortodosse hanno pesantemente criticato le aperture che – a loro dire – sono contenute nelle relazioni pubblicate, specialmente in rapporto alla Chiesa cattolica. La Chiesa ortodossa di Georgia, dopo aver rifiutato unitamente al patriarcato di Antiochia di approvare il documento sul matrimonio, ha in seguito ritirato il placet anche per il documento sull’ecumenismo. Poi si è sfilata la Bulgaria. Un conflitto non ancora ricomposto è in atto poi tra il patriarcato di Gerusalemme e il patriarcato d’Antiochia a proposito della giurisdizione canonica in Qatar (che Antiochia rivendica esclusivamente per sé).

Il 25 e 26 maggio scorso si è riunito il Santo sinodo della Chiesa ortodossa di Grecia per discutere le correzioni e i miglioramenti da apportare ai documenti preparatori del Santo e grande Concilio panortodosso. Ma anche qui si sono manifestate posizioni contrarie su questioni sacramentali e sulle relazioni con le altre Chiese cristiane, la Cattolica in particolare. Dato che i membri dell’Ortodossia si considerano gli unici custodi della fede, sembra per loro improprio usare per Roma il termine «Chiesa». Piuttosto, spiega il Santo sinodo di Grecia, si può parlare di «confessione; oppure, caso mai, una comunità cristiana».

E Mosca? Kirill non partecipa, ma ha inviato un osservatore speciale e un messaggio di saluto ai partecipanti, indirizzandolo però non al Concilio, ma direttamente a Bartolomeo. Mosca si è defilata, spiega Kirill perché «la Chiesa russa è sempre guidata dal principio di non disprezzare la voce di alcuna Chiesa locale» (riferendosi alle critiche interne che si sono levate dopo la pubblicazione del documento di lavoro del Grande concilio). E aggiunge: «Credo nelle buone intenzioni dell’incontro di Creta, che possa essere un passo importante nella direzione della dissipazione delle controversie che ne sono derivate». Per Mosca dunque, nessun Santo e grande concilio, ma una riunione preparatoria verso quel Santo e grande sinodo che unirà tutte le Chiese autocefale locali senza eccezioni. Quando, nessuno lo sa.

Le vere ragioni del forfait della Chiesa russa, secondo gli osservatori, sono da cercare su più fronti. Da una parte la situazione in Ucraina, dove ci sono tre differenti Chiese ortodosse: una sotto la giurisdizione di Mosca, una sotto quella di Kiev e una terza indipendente. Chiaro che il conflitto politico tra Ucraina e Russia (sfociato in guerra) ha appesantito ulteriormente le relazioni tra queste Chiese e ha reso perlomeno imbarazzante il ritrovarsi attorno alla stesso tavolo. C’è poi la questione del primato d’onore che Mosca, ormai apertamente, contesta al patriarcato di Costantinopoli, anche con toni piuttosto grezzi. Alexey Svetozarsky, professore presso l’Accademia teologica di Mosca, non lesina, in un’intervista all’agenzia russa Interfax, le critiche a Bartolomeo, definito un «piccolo papa d’Oriente».

Avvelenato il dente nei confronti delle aperture ecumeniche di Bartolomeo, “reo” di aver partecipato all’insediamento del Papa di Roma, di averlo incontrato in Terra Santa e a Lesbo, e di aver di fatto asservito – a suo dire – l’Ortodossia al Vaticano.

Il Concilio insomma si è avviato a scartamento ridotto e il patriarcato di Costantinopoli non ha voluto accogliere le richieste di sospensione o di rinvio. Ha ribadito invece che – dal suo punto di vista – ciò che verrà discusso e deciso, proprio in virtù del cammino condiviso da tutte le Chiese fino alla promulgazione del Santo e grande Concilio, avrà valore giuridico. Come dire: agli assenti la responsabilità di aumentare ulteriormente la divisione interna nell’Ortodossia, che sembra aver perso una nuova, storica occasione.

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